Cari lettori de “La voce di Bagheria”, nella seconda puntata di “Voci dall’Isola”, vi racconto uno dei tanti talenti della nostra Isola: Angelina Castiglia che, guidata dalla voglia di far il suo lavoro al meglio, è riuscita a dar forma al suo sogno restando in Sicilia. Con passione, Angelina ci racconta i suoi studi e le sue esperienze, definendosi un po’ maga, un po’ medico, un po’ chimico, un po’ farmacista e un po’…pasticceria! La rubrica nasce per invertire lo stereotipo che l’unico modo per farcela è emigrare. Paradossalmente, la scrivo io che sono dovuto emigrare più di 13 anni fa per continuare a lavorare nel mondo della comunicazione!
Buona lettura! Se siete riusciti a realizzare il vostro sogno restando (o tornando) in Sicilia, raccontatemelo all’indirizzo pintacuda@gmail.com. Le storie più belle saranno pubblicate nella nostra rubrica.
Angelina, puoi presentarti ai nostri lettori?
«Angelina Castiglia, classe ‘84, al limite con ‘85, restauratrice abilitata di materiali lapidei e derivati (sarebbero pietre e tutto ciò che da esse si ottiene: mosaici, stucchi, intonaci di rilevanza storica e/o decorativi e quindi anche dipinti mirali) e superfici decorate dell’architettura».
Che percorso di studi hai fatto?
«Diplomata al Liceo Scientifico G. D’Alessandro di Bagheria, ho frequentato il corso di laurea triennale di Conservazione e Restauro dei Beni Culturali e poi ho conseguito la laurea specialistica Conservazione e Restauro dei Beni Culturali con specializzazione in materiali inorganici. Circa due mesi dopo, però, è stato pubblicato un decreto legislativo che norma la professione del restauratore e che, di fatto, ha reso inutile la mia laurea (ma questa è una polemica che poco c’entra). Per cui mi sono riscritta al nuovo corso di laurea quinquennale abilitante alla professione, sempre in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali con indirizzo, appunto, Materiali lapidei e derivati».
Che difficoltà hai dovuto superare per restare a realizzare il tuo sogno in Sicilia?
«Come già si può intuire dalla risposta precedente, mi è stato subito chiaro che le difficoltà che avrei avuto nel mio settore non erano tanto legate alla latitudine, il mio mestiere risente di criticità in tutta Italia. E infatti, ti dirò, a me di restare in Sicilia è capitato. Non escludevo di andarmene – anche perché il trend era quello, quasi tutti i miei amici e colleghi sono partiti – ma neanche di restare: volevo solo fare il mio lavoro bene. E, visto che, purtroppo o per fortuna, quello del restauro, data la natura pratica dei lavori, è un settore che ruota intorno alle conoscenze (e non intendo “conoscenze”, ossia raccomandazioni, ma proprio contatti, persone che sanno come lavori e quindi ti contattano direttamente), poco dopo l’abilitazione è arrivata la prima proposta di lavoro. Concluso quello, un’altra, e così via. Devo dire che da 8 anni a questa parte non mi sono quasi mai fermata. Anche per questo ho scelto, quasi da subito, la libera professione, piuttosto che lavorare da dipendente (sebbene lo abbia fatto e, all’occorrenza, leggasi carenza di lavoro, non escluda di farlo ancora). Un po’ per carattere, un po’ perché la libera professione mi consente di gestire interamente il lavoro, interfacciarmi direttamente con le Soprintendenze e non sacrificare la qualità dei risultati. E soprattutto proporlo il lavoro: da dipendente non potrei, da professionista posso proporre alle pubbliche amministrazioni, ma anche ai privati, le mie idee o i miei progetti Questo non significa che non ci siano difficoltà, anzi! Non si riesce a fare un programma di vita che copra più di un semestre, l’ansia dell’instabilità è sempre dietro l’angolo, il mio è un lavoro di cantiere, che significa 8 ore, spesso fisicamente pesanti, al giorno fuori casa, con poche possibilità di fare altro, soprattutto se, come mi è successo, il lavoro è nella parte opposta della Sicilia (quindi valigie e via per due/tre mesi) Ma in fondo, spostarmi mi piace, conoscere nuovi luoghi, ricreare una routine in un’altra paesino (si, certe volte si tratta di paesini di neanche mille abitanti, vieni quasi adottato!) pure e, in maniera molto sicula, ho deciso che “una cosa alla volta, se si presenta il problema, lo affrontiamo” Però, ripeto, questo scenario si sarebbe presentato anche al Nord, non sono problemi strettamente legati al dove. E poi, una trasfertina me la sono concessa pure io: ho avuto la possibilità (ed il grande onore) di trascorrere e lavorare un mese e mezzo a Siem Reap, in Cambogia, al complesso monumentale di Angkor Wat, grazie ad un progetto internazionale dell’Università di Palermo, ideato dalla mia prof./tutor dei laboratori di restauro, che ha coinvolto diversi ex allievi, per l’assistenza e la supervisione dei lavori di una squadra di neo-restauratori cambogiani. È stato bellissimo!»
Qual è il tuo più grande successo? Personale e lavorativo, spesso quando il lavoro è frutto di passione, come nel tuo caso, spesso coincidono!
«Nel 2017, insieme ad una collega, nonché carissima amica, specializzata in restauro di dipinti su tela e tavola, abbiamo fondato una nostra cooperativa, Properart. Questo sia per “recepire” più lavoro, sia per provare a fornire un’offerta di servizi più ampia: non solo restauro, ma valorizzazione, in senso più ampio, dei beni culturali ed è per questo che nella compagine societaria ci sono anche due architetti. Credo, crediamo, fortemente che i beni culturali siano una grande risorsa per questa terra (ci viviamo immersi!) e che, contrariamente a quanto detto da qualcuno, con la cultura si mangia: mi piacerebbe non solo mangiarci io (come profitti), ma fare in modo che se ne nutrano quante più persone possibile! Ecco, questo è un mio piccolo sogno. Non so se lo abbia pienamente realizzato, ma sicuramente faccio del mio meglio per contribuirvi. E ancora sono riuscita a lavorare in diversi siti UNESCO siciliani: Duomo di Monreale, Villa del Casale…quello che, effettivamente, durante gli studi, era il sogno!»
Che consiglio daresti ai siciliani della gen Z? Parto da un dato personale: pensavo che fosse normale ricevere valigie in occasione della propria laurea. Sono dovuto emigrare per vedere che gli altri ricevono viaggi e, al massimo, una borsa da lavoro. Alla triennale mi hanno regalato un trolley da cabina, alla specialistica un trolley da stiva di quelli king size. Ci inculcano “cu nesci, arrinesci” sin dalla culla. Come sei riuscita a restare in Sicilia?
«Negli ultimi anni sto riuscendo a non allontanarmi troppo da casa e questo lo considero pure un piccolo successo: significa che in qualche modo sono apprezzata nel mio territorio e – perché no? – sai bene che le mamme nel frattempo diventano più grandette, e non lasciare sola la mia mi da’ una certa tranquillità. Un momento molto bello, per me, è stato l’intervento all’Arco del Padreterno a Bagheria: il primo lavoro nella città che vivi quotidianamente. Al di là dell’onore di lavorare su un manufatto così bello ed importante, mi ha riempito di orgoglio: restituire ad un quartiere un elemento fortemente identitario, fare qualcosa per il tuo territorio, passarci davanti e “controllarlo” anche a distanza di tempo…non so come spiegarlo, ma è una grande emozione!
Ecco, fare quello che mi piace, poterne vivere, anche senza diventare ricca, continuando a vivere i miei affetti. Credo sia un successo. Non so se posso dare consigli, ma se la gen Z (ancora non mi capacito di non farne parte!) vuole questo: studiare. Studiare, studiare, studiare: indipendentemente da ciò che si vuol fare. E non solo accademicamente (sebbene lo ritenga fondamentale, per me lo è stato), continuare a studiare al di fuori, non perdersi niente, cercare di sapere il più possibile sul proprio mestiere e su quelli che ad esso ruotano intorno, dialogare, si impara da chiunque e dovunque (fosse anche cosa non fare!). Ed essere intraprendenti: non aspettare la domanda, noi che siamo offerta dobbiamo crearla!»
“Rimango sempre stupito dalla passione dei restauratori: svolgono un lavoro prezioso, difficile, delicato, e spesso non appaiono mai, perché sono gli storici dell’arte a prendere la parola”, ci commenti questa bellissima citazione dello storico dell’arte Costantino d’Orazio?
«Bellissima e verissima l’affermazione di D’Orazio! Grazie e complimenti per averla scelta e per aver sottolineato questo ruolo! È vero, noi restauratori rimaniamo nelle retroguardie, eppure mettendo mano letteralmente, ogni giorno, per mesi, sulle opere arriviamo a conoscerle meglio di chiunque altro, sotto tutti i profili: storico-artistico o archeologico, tecnico e tecnologico. Il restauro è un momento di conoscenza inimmaginabile (Cesare Brandi docet!), spessissimo dai restauri si ottengono informazioni non acquisibili da una mera analisi stilistica tipica dello storico dell’arte. È vero anche che queste, quando esistenti, sono una guida preziosissima per condurre l’intervento. È per questo che mi auspico, ci auspichiamo, una sinergia tra le diverse figure del mondo dei BB.CC. Purtroppo, ad oggi, sono tutti ruoli che non godono, presso le Istituzioni, dell’importanza che dovrebbero avere e, laddove conquistata, rimane settoriale. Ma sono fiduciosa e devo dirti che in Sicilia stanno sorgendo, a livello imprenditoriale, diverse realtà di questo tipo (anche Properart, nasce con questo intento) e tutte di grande valore e professionalità. E stiamo in qualche modo facendo rete. Anche questo è importantissimo. Tornando alla citazione, vero, magari rimaniamo in disparte, ma vuoi mettere conoscere, perché scoperti in prima persona, dettagli che sui libri non ci sono e forse non ci saranno mai? È un privilegio così grande, che può colmare il non avere fama e gloria».
“Processi estrattivi di sali solubili da malte da intonaco: studio comparativo di diverse formulazioni di impacchi”, più che il titolo di una tesi sembra una pozione di Harry Potter, quand’è nata la tua passione per il restauro?
«Ma dove hai beccato la mia tesi? Hai colto nel segno ancora. I restauratori sono un po’ maghi, un po’ medici, un po’ chimici, un po’ farmacisti e un po’…pasticceri! Lavoriamo con vere e proprie ricette, che perfezioniamo a seconda delle esigenze, con bilance di precisione, fornelletti, miscelatori, niente è lasciato al caso. Ecco, la mia passione credo sia nata proprio così: ho sempre avuto una grandissima attrazione per l’arte, ma non sono dotata di alcun talento creativo… ho avuto da sempre, fin da piccola, una predisposizione per le scienze, la chimica soprattutto, che al liceo adoravo. Ho un approccio molto razionale alle cose. Il restauro coniuga le due cose, mi permette di toccare arte, pur non sapendola fare, e di preservarla, proteggerla. Mi ritengo molto fortunata da questo punto di vista, non è facile capire cosa fare da grandi a 18 anni. E ho trovato, anche all’università, docenti che, oltre a formare bene, hanno anche accolto le proposte, hanno assecondato le inclinazioni di noi allievi. (E questo lo dico anche a chi ha il pregiudizio che l’università di Palermo, in generale le università meridionali, non siano valide, onestamente devo aggiungere che io ed i miei colleghi abbiamo ricevuto un’ottima preparazione, da questo corso sono usciti tanti professionisti molto validi, affermatisi anche altrove). Uno di questi è proprio il mio relatore, cui sono grata e ancora ad oggi molto legata. Pur non essendo un restauratore, ma un geologo e quindi più vicino alla diagnostica per i Bb. Cc., ha accolto con entusiasmo le mie curiosità, nate da quesiti sorti nella pratica lavorativa, e permettendomi di provare a trovare una soluzione tramite metodo scientifico, proprio quello galileiano! Mi ha fatto vivere il laboratorio, le misurazioni, le sperimentazioni. E non solo durante lo svolgimento delle tesi (ne ho fatte due con lui, una è quella da te citata), tesi che sono state pubblicate, grazie a lui ed al suo dipartimento, ma anche con la collaborazione ad un progetto di ricerca in cui mi ha coinvolto. Il mio primo lavoro, dopo la laurea specialistica, prima di quella abilitante, è stato proprio questo, non un restauro. Per la mia professione, ho fatto poi altre scelte, non ho continuato con la ricerca (in teoria andrebbe di pari passo, ma le finanze ed i tempi di un restauro purtroppo non lo consentono), ma ne ho fatto tesoro. Ricollegandomi alla risposta precedente, è questo che intendo per studio, non rimanere nella propria nicchia, ma cercare di imparare anche altro che possa essere di ausilio nel proprio, la carta in più, che fa la differenza».
Antonino Pintacuda pintacuda@gmail.com