Alessandro era una persona apparentemente schiva, ma se si aveva la fortuna – come l’ho avuta io – di essere un suo amico allora si poteva scoprirne un affetto davvero smisurato.
Aveva una grande passione: la maratona. Ne ha corse tante, alcune assieme ai fratelli e al padre – l’uomo dal quale ha ereditato quell’energia che lo ha accompagnato per tutta la vita.
Alessandro non era un maratoneta di professione, ma questo ha poca importanza, anzi proprio nessuna perché la dedizione che riversava nella corsa era identica all’impegno che poteva avere un olimpionico plurimedagliato.
Ha corso maratone a New York, Milano, Firenze, Roma, Palermo e in decine di altri posti. Ha terminato ogni singola gara e i suoi tempi – di tutto rispetto – erano un orgoglio secondo solo al suo amore per la famiglia e gli amici più cari.
C’è stato un 4h 15’ 19’’, un 3h 58’ 48’’, persino un 3h 51’ 10’’, forse il suo tempo migliore.
Ma il record di Alessandro secondo me è il 4h 46’ 14’’, il tempo più lungo fra tutte le sue maratone, il tempo dell’ultima gara dell’agosto 2019.
In quella porzione di tempo stampata ora su una pergamena accanto alla relativa medaglia, c’è ancora la falcata sicura e testarda di Alessandro, il suo respiro rapido ma controllato grazie a un rigido allenamento, la volontà di arrivare al traguardo a qualunque costo. Ecco, in quel tempo – e in tutti gli altri delle circa dieci maratone da lui corse – c’è e continuerà a esserci l’Alessandro che ho conosciuto io.
E sono sicuro che tutte quelle ore cronometrate e idealmente accumulate gara dopo gara sono la sua personale e arguta risposta al destino che su questa terra gli ha riservato un tempo davvero troppo breve.