Ricorre il 15 luglio 2024 il 400° anniversario del ritrovamento delle reliquie di S. Rosalia sul Monte Pellegrino. In occasione della presenza di un reliquiario di S. Rosalia nella parrocchia Immacolata di Bagheria mi è stata chiesta una memoria su S. Rosalia che abbiamo tenuto il 26 giugno. Ho rielaborato la registrazione di quell’incontro e ne propongo una sintesi che spero possa aiutare a saperne di più di questa santa il cui culto emerse in modo prorompente proprio a partire dalla peste dell’estate 1624.
L’ultima ondata di contagio di peste a Palermo risaliva al 1575. Dopo quasi 50 anni la peste riprese nel giugno del 1624. Portata da un vascello che veniva dal Nord Africa, si diffuse a partire dal mese di giugno e furono 30.000 i morti su 120 mila abitanti. La mentalità del tempo riteneva che il flagello fosse la punizione di Dio per i peccati, perciò la soluzione doveva avere prevalentemente carattere religioso: rivolgersi a Dio e ai santi. Si invocarono allora come sempre le sante patrone della città e tutti i santi. Gli ordini religiosi moltiplicarono le processioni dei loro santi.
La crisi della città diventò sempre più spasmodica quando il 5 gennaio 1625 il Crocifisso ligneo della cattedrale di Palermo fu portato in processione, evento che si realizzava solo nei momenti in cui sembrava che la città sprofondasse nella crisi più profonda. Forte fu la carica emotiva penitenziale nel popolo che si espresse in una esplosione collettiva e rituale di dolore con scene di autoflagellazione fino al sanguinamento e di ressa attorno al Crocifisso.
La crisi non era dovuta però solo alle migliaia di morti, ma soprattutto al fatto che le misure preventive e restrittive a causa del contagio della peste impedivano di accompagnare i propri defunti alla tomba con le ritualità tradizionali dal momento che venivano seppelliti nelle fosse comuni. La carenza delle ritualità verso i defunti accentuò attese messianiche di salvezza di un evento straordinario che liberasse la città dalla crisi della peste. Queste attese favorirono con il ritrovamento delle reliquie di S. Rosalia la rinascita del culto urbano di S. Rosalia che invece era prevalentemente presente sul Monte Pellegrino dove il 4 settembre dies natalis della Santa si svolgeva il pellegrinaggio dalla città alla montagna.
Il ritrovamento delle reliquie e la liberazione dalla peste. Già dal mese di maggio 1624 i frati francescani eremiti del convento di Monte Pellegrino vicino alla Grotta incrementarono la ricerca della tomba di S. Rosalia. E popolani erano i devoti cavatori che andarono alla ricerca delle reliquie di S. Rosalia sulla montagna. Abitavano a Palermo, ma non erano nati a Palermo. Lo scavo ebbe inizio nella Pentecoste che quell’anno cadde il 26 maggio 1624. Li guidavano i frati eremiti del convento che da tempo erano i cercatori delle reliquie. Un gruppo marginale di 13 persone (tre le donne) più altri sette uomini. Il lunedì 15 luglio 1624 nel rompere la punta di una balata si accorsero che sotto la lastra c’erano ossa umane impietrate e gridarono subito che si trattava delle reliquie di S. Rosalia. La notizia del ritrovamento arrivò in città quello stesso giorno del 15 luglio mentre si svolgeva una processione penitenziale nella quale si portavano in processione due delle patrone di Palermo S. Cristina e S. Ninfa. Fu colto come segno celeste il fatto che durante la processione due cantori nelle Litanie invocarono senza accordo precedente l’intercessione di Santa Rosalia.
Appena arrivò la notizia del ritrovamento, il genovese card. Giannettino Doria, arcivescovo di Palermo (1609-1642), quel giorno stesso inviò una delegazione sulla montagna per appurare la realtà del ritrovamento e il martedì e il mercoledì avvenne privatamente la traslazione nella città di queste ossa che già venivano considerate dal popolo vere reliquie della Santa. Istituì quindi una commissione di teologi e scienziati per analizzare quelle ossa incastrate nelle pietre. I primi a essere interrogati furono gli scavatori dei quali si conservano agli atti i verbali. Ma il popolo volle subito riconoscere che quelle ossa erano proprio quelle di S. Rosalia eremita e al ritrovamento delle ossa attribuì la fine della peste come risposta di Dio alle attese salvifiche di un intero popolo. Il 22 febbraio 1625 dalla Commissione furono infatti dichiarate autentiche le reliquie. A settembre furono mitigate le restrizioni, ma il male si intensificò. In realtà tra il
ritrovamento delle reliquie della Santa e la fase calante della epidemia passarono dieci o undici mesi. La peste infatti scomparve nel febbraio 1626.
Ma chi era S. Rosalia? Il gesuita Ottavio Caetani, morto nel 1620, che nella sua ricerca storica sui santi siciliani seguiva il metodo critico dei Bollandisti, racconta di avere raccolto su S. Rosalia solo una tradizione orale dal momento che non aveva trovato fonti scritte. Il sunto del manoscritto del Caetani, pubblicato però nel 1657 dal gesuita Pietro Salerno, tramanda di S. Rosalia, vergine palermitana, che fu una delle “ancelle” [nome coperto da macchia nera d’inchiostro] della regina Margherita, moglie del re normanno Guglielmo I, re di Sicilia [1154-1166]. Ricevuto in dono dalla regina il Monte Pellegrino Rosalia si ritirò sulla montagna dove visse in una grotta da eremita e dove piamente e santamente morì e dove fu seppellita. Presso la grotta fu edificato una chiesetta alla santa vergine Rosalia a cui si aggiunse poi un convento di eremiti della famiglia di S. Francesco. Mentre il culto su Monte Pellegrino si era consolidato con il pellegrinaggio del 4 settembre, giorno ritenuto dies natalis della Santa, il Caetani riferisce di un culto urbano di S. Rosalia legato a una chiesa a lei dedicata (si disse nella casa natale della Santa) che però, quando fu costruita la Casa dei Padri dell’Oratorio di S. Filippo Neri all’Olivella, venne inglobata nella nuova grande chiesa di S. Ignazio martire dentro la quale le venne dedicata una cappella, e ricorda il Caetani l’esistenza di un pozzo accanto alla chiesa, detto di S. Rosalia, ancora oggi presente, la cui acqua era considerata rimedio nelle malattie.
Il Caetani riferisce inoltre che nella città di Bivona c’era un luogo dedicato a S. Rosalia dove in tempi antichi durante una pestilenza una “donna divina”, identificata come S. Rosalia, era apparsa a un uomo al quale avrebbe chiesto che in quel luogo fosse costruita una chiesa. Fin qui la tradizione orale.
Il passaggio dalla tradizione orale a una produzione letteraria accompagnò la ricostruzione di una memoria significativa di S. Rosalia dopo il ritrovamento del 1624. Il volume di mons. Paolo Collura del 1977 offre una ricca sintesi, critica e sistematica, dei materiali storici e una documentazione iconografica in cui si trovano una icona di Rosalia con il saio di monaca basiliana e altre immagini di Rosalia con santi invocati già nel Quattrocento come santi taumaturgici nelle pestilenze. E tuttavia non era Rosalia tra le quattro patrone ufficiali di Palermo che segnavano i quattro mandamenti della città come si può vedere nei Quattro Canti del Teatro del Sole. Essendo una santa eremita, prima del ritrovamento del 1624 maggiore attenzione a Rosalia troviamo nella religiosità popolare e minore nelle sfere del potere, anche se nella peste del 1575 il Senato Palermitano fece riferimento anche a S. Rosalia.
La presenza delle reliquie di una persona carica di sacralità come S. Rosalia le cui ossa erano impastate con le pietre conferiva nella mentalità popolare una potentia di sacralità per contatto a tutta la montagna. Perciò i miracoli attribuiti alle reliquie di S. Rosalia venivano attribuiti anche alle pietre della grotta e della montagna e anche all’acqua che si ritenevano cariche dalle potentia sacra per contatto con le reliquie di S. Rosalia per cui molti devoti di tutti i ceti sociali raccontavano di aver bevuto l’acqua con polvere di pietra del Monte Pellegrino durante la peste. E poiché a livello popolare si diffondevano ossa e pietre legate a S. Rosalia si sentì il bisogno da parte del card. Doria di un controllo del culto e dei miracoli, seguendo in questo la svolta di papa Urbano VIII (1625-1634) che riservava ora alla Curia romana il controllo del sistema delle canonizzazioni.
Ma l’evento centrale nel 1624 fu la traslazione del corpo di S. Rosalia dentro le mura della città che apparve come la risposta di Dio alle attese di salvezza molto vive durante la crisi della peste. La potentia sacra di Rosalia entrava ora dentro la città come evento salvifico. Per questo motivo il popolo premeva l’arcivescovo e la Commissione di dichiarare subito che si trattava delle reliquie di S. Rosalia e che si portassero per le vie della città affinché fosse liberata dalla peste.
Le scarne notizie orali raccolte dal Caetani su Rosalia non erano sufficienti a costruire una storia dignitosa che Rosalia non aveva per mancanza di fonti storiche scritte. Di fronte al diffondersi della devozione a S. Rosalia in tutti gli strati sociali i teologi cercarono allora di incanalare questa devozione dentro uno schema che ne evitasse derive non ortodosse. Ci pensarono i Gesuiti che erano gli intellettuali del tempo a costruirla. Il regista fu soprattutto il gesuita Giordano Cascini. Fu inviata allora per ordine del cardinale dalla cancelleria arcivescovile una lettera circolare con un questionario ai notabili civili e religiosi di varie città della Sicilia con la quale si chiedevano informazioni sulla presenza di culto su S. Rosalia. Fatto rilevante fu che dopo solo quaranta giorni
dal ritrovamento delle reliquie e a trenta giorni dalla elezione di Rosalia a patrona di Palermo viene alla luce dal paese di Santo Stefano di Quisquina una iscrizione muraria in lingua latina: EGO ROSALIA/ SINIBALDI QUISQUIN/ NE ET ROSARUM DOMINI FILIA AMOR/ D.NI MEI JESU/ CHRISTI / IN HOC ANTRO ABITA/ RI / DECREVI [Io Rosalia, figlia di Sinibaldo, signore della Quisquina e delle Rose per amore di Gesù Cristo in questa grotta ho deciso di abitare]. Chi scrisse questo testo? I gesuiti di Bivona? come scrive qualcuno. Il gesuita Cascini ci dice che i gesuiti di Bivona dopo aver trovato l’iscrizione, scoperta da due muratori, la copiarono. La macchia nera che troviamo nel manoscritto del Caetani sul termine “ancella” attribuito a Rosalia come fosse una delle serve, una ancillarum, della regina, ci può rivelare che cominciava l’operazione di voler dare un padre e una famiglia nobile a Rosalia fino a imparentarla direttamente con Carlo Magno. La iscrizione della grotta delle Quisquina, secondo Paolo Collura, è però un falso, rimase comunque acquisita l’attribuzione che Rosalia era nobile.
Ma come conciliare il modello di vita eremitica di Rosalia, che è un modello di rifiuto di un sistema sociale, con il tentativo di mostrarla come appartenente a una famiglia nobile? Accettare una santa povera ed eremita come patrona della capitale del regno di Sicilia non significava giustificare una possibile scheggia rivoluzionaria di contestazione del sistema politico e sociale? Il modello di santità occidentale, partendo dall’alleanza tra aristocrazia e alto clero, rendeva possibile accettare la conciliazione medievale tra Sanctus et nobilis. I Bollandisti e la Curia romana si rifiutavano tuttavia di scrivere nel Martiriologio romano il falso della discendenza di Rosalia da Carlo Magno, ma sui dubbi della congregazione romana la vinse però il Senato palermitano e si arrivò al compromesso nel martirologio in cui si scrisse che Rosalia era della discendenza di Carlo Magno. E così fu il potere politico a gestire l’evoluzione della memoria di Rosalia. Dalle processioni penitenziali dopo il 15 luglio 1624 si passò al festino che celebra la vittoria della nobiltà dopo la rivolta del 1647-1648. Le due direttrici del culto di S. Rosalia cominciarono a convivere, e convivono ancora oggi: da una parte il pellegrinaggio dei devoti popolari sul Monte Pellegrino il 4 settembre e dall’altra il festino trionfale gestito già dal 1649 dai detentori del potere nella città. Quello che manca però è l’afflato religioso per cui si vuole costruire una concordanza sociale e una identità di cittadinanza supportata da una figura religiosa su una religione civile troppo fragile che diventa nel tempo incentivo turistico più che forza per la rifondazione della città su valori di giustizia e di fraternità. E questo nonostante i tentativi delle autorità religiose che negli ultimi tempi richiamano alla lotta contro la disoccupazione, al risanamento dei quartieri storici e delle periferie, alla riforma morale, alla lotta contro la mafia e la corruzione. Troppo fragile quindi la quadratura del cerchio che gli intellettuali del Seicento credettero di trovare nella condivisa cittadinanza palermitana con Rosalia che avrebbe dovuto unire nobili e popolo nel fatto che Rosalia, povera eremita e nobile, era soprattutto “Vergine palermitana” più che modello evangelico di vita.
Bibliografia Valerio Petrarca, Di S. Rosalia Vergine Palermitana, Sellerio, Palermo 1988; Paolo Collura, Santa Rosalia nella storia e nell’arte, 1977.