Conoscere le persone a fondo è impossibile. Seppure l’esposizione può ingenerare un’idea negli altri, solo quando le persone si raccontano senza filtri, puoi leggere i tratti somatici della loro formazione.
Provenire da una famiglia benestante, non mi ha preservato nella vita nemmeno dalla difficoltà di restare senza bombola del gas e non poterla comprare, ma mi ha consentito un infanzia felice. In quella infanzia felice e in quella adolescenza, combattuta come quella di tutti gli adolescenti, ma agiata, mi padre mi insegnò la pazienza.
Dopo una serie di peripezie con la sua famiglia, una di quelle fondatrici di Partinico, mio padre riuscì ad aprire una sua attività di molitura del grano e produzione di farine a Corleone alla fine degli anni ‘80. I sacrifici e l’abnegazione per quella attività che portava mio padre lontano da casa per tutta la settimana, me l’ha sempre fatta odiare, ed essendo cresciuto poi nel mondo ovattato della “Palermo bene” non ho mai realmente pensato di occuparmene. Eppure ogni tanto, soprattutto da giovanissimo mi balenava l’idea di andare lì ad apprendere il mestiere.
Quelli erano i momenti in cui vivevo mio padre. Per la verità c’era anche la pesca insieme la domenica mattina, ma quella è un’altra storia e me la godo da solo. La molitura del grano comincia dal processo di pulitura. Dai magazzini di stoccaggio il cerale veniva portato in alcune vasca di raccolta, poi issato con delle tramogge da carico sino al piano più alto dove il processo che portava poi alla macinazione cominciava “per caduta” (ecco perché i mulino moderni sono più piani).
Alla fine, in serata, prima della chiusura, in quelle vasche si depositava un certo quantitativo di frumento. Era il segno di macchinari obsoleti, di un impianto arrangiato che per mio padre era il riscatto. Si era affrancato dalla figura di un padre accentratore e di una famiglia mia unita. Lo avrei capito solo dopo, a me pareva solo una cosa da aggiustare. Ma nella luce fioca di una lampada a filamento attaccato ad un prolungo, con la paura che saltasse fuori qualche immancabile topo, in una vasca profonda un paio di metri e larga un metro e mezzo per un metro e mezzo, quel grano era capitale che andava raccolto.
Era compito del manovale più giovane, e quando ero preso da quei momenti in cui volevo imparare il mestiere, io cominciavo dal basso, io ero il manovale più giovane. Si scendeva giù con un sacco di carta che pieno sarebbe pesato circa 65kg e una sassola, che il dialetto corleonese battezzava “ ‘u scruozzo”, e si raccoglievano circa 300kg di grano. Io ho imparato la pazienza lì, in quel fosso, in quel fosso dove anni dopo mio padre cadde, procurandosi un danno che si portò per parte della sua vita, che lo provo molto e che lo fiacco.
Imparai la pazienza perché il grano è come la sabbia, quando scavi una buca: sembra non finisca mai, ricopre velocemente i vuoti che crei, e per molto tempo tempo ti sembra un lavoro inutile. Non puoi vincere il grano, come non puoi vincere la sabbia, in quel fosso sembra moltiplicarsi. Eppure piano piano, ad ogni sassola estratta quel grano finiva Era una questione di tempo.
Nella vita ci sono prove che sembrano impossibili, salite troppo ripide, discese vertiginose, e vasca di grano da svuotare o da riempire, basta una sassola, un sacco di carta e il tempo. Questa è la pazienza secondo me.
Epilogo:
Mio padre è morto di infarto a Corleone mentre stava recandosi in quel maledetto mulino, aveva 55 anni la mia età mentre scrivo. Lo vedo invecchiare allo specchio ogni mattina. Io vorrei essere più paziente.