La professoressa palermitana che fece scrivere a un alunno: “Sono un deficiente” è stata definitivamente con dannata dalla Cassazione.
Gli insegnanti non possono rispondere con metodi prepotenti agli atteggiamenti di “bullismo” degli allievi perché, così facendo, “finiscono per rafforzare il convincimento che i rapporti relazionali (scolastici o sociali) sono decisi dai rapporti di forza o di potere”. Lo sottolinea la Cassazione confermando la condanna a 15 giorni di reclusione nei confronti di una prof che, per punire uno studente di 11 anni, gli aveva fatto scrivere per cento volte sul quaderno la frase ‘sono un deficiente’.
Ad avviso della Suprema Corte – sentenza 34492 – l’insegnante Giuseppa V., docente di una scuola media statale di Palermo, è senz’altro colpevole “di aver abusato dei mezzi di correzione e di disciplina” ai danni dello studente G.C., per averlo “mortificato nella dignità” venendo così meno al “processo educativo in cui è coinvolto un bambino”, ossia – aggiungela Cassazione rifacendosi alla convenzione Onu sui diritti dell’infanzia – “una persona sino all’età di 18 anni”. “Non può ritenersi lecito l’uso della violenza, fisica o psichica, distortamente finalizzata a scopi ritenuti educativi”, affermala Cassazione, “e ciò sia per il primato attribuito alla dignità della persona del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti”. E sia perché – prosegue la sentenza – “non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, tolleranza, convivenza e solidarietà, utilizzando mezzi violenti e costrittivi che tali fini contraddicono”. (livesicilia.it)