Sono passati 30 anni da quando mio cugino Mariano e Salvatore Colletta sono scomparsi in contrada Gelso, quella che vedete in foto. Entrambi, quel 31 marzo 1992, si sono eclissati nel nulla, polverizzati come cenere al vento. Io non ho mai conosciuto mio cugino, perché sono nato cinque anni dopo.
Lo conosco solo attraverso i miei nonni, la loro voce e quella di chi ha avuto l’opportunità di conoscerlo.
Mi sono sempre chiesto, visto che porto il suo nome, come fosse, cosa amasse, quali fossero i suoi sogni, i suoi progetti e idee.
Ma il destino l’ha strappato ai suoi genitori e alle persone che lo hanno amato e continuano a farlo. Tuttavia, da sempre, ho solo percepito dolore: quello dei suoi genitori, seppur a distanza; quello dei miei nonni, cugini, zii. È un dolore senza tempo, non passa mai, diventa sempre più lacerante. Esso non si può descrivere a parole, è qualcosa che non si conosce finché non lo si attraversa, lo si vive ogni giorno, ogni momento.
È inammissibile che in tutti questi anni nessuno abbia avuto il coraggio di dire la verità, di dare qualche indizio o segnale affinché mio cugino e Salvatore potessero essere ritrovati e abbracciare i loro cari. Solo omertà, ho visto in questi anni solo omertà.
Chi non parla, chi tace, chi sa e non vuole dire nulla, è complice. Non sono qui per giudicare qualcuno, per lanciare sentenze, per puntare il dito, a questo ci penserà la giustizia, quella divina e terrena. Siamo qui per scoprire la verità, per capire che fine abbiano fatto Mariano e Salvatore.
Sono qui, in vece dei miei zii, per gridare che ci siamo e che non ci arrenderemo. Vogliamo la verità, quella che ci spetta da ormai 30 anni.
Ma per scoprirla occorre abbattere il muro dell’omertà.
Mariano Farina, in una foto all’epoca della scomparsa e in un’elaborazione al computer