Ancora oggi, anche se sottotraccia, è di dominio pubblico politico, il tema delle competenze tra Stato e Regioni; il Consiglio dei Ministri in data 02/Febbraio/2023 aveva approvato un DDL (disegno di legge) sull’autonomia differenziata, introdotta in Costituzione nel 2001 e voluta fortemente dall’attuale Ministro per gli affari regionali e le autonomie On.le Calderoli, purtroppo, passata inosservata per buona parte del popolo italiano.
Uno schema di DDl di appena 10 articoli per rappresentare le “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a Statuto ordinario”.
Ma cerchiamo di fare chiarezza.
L’articolo 2 (Procedimento di approvazione delle intese fra Stato e Regione), prevede l’atto di iniziativa all’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’art. 116, 3° comma della Costituzione, deliberato dalla Regione, sentiti gli enti locali, secondo le modalità e le forme stabilite nell’ambito della propria autonomia statutaria. Insomma un legittimo accordo, in virtù della “sacra” e per certi versi “strapazzata” Costituzione, per favorire la gestio di una equa ed efficiente allocazione di risorse che arrecherebbe vantaggio a favore di Regioni dotati di maggiore capacità amministrativa e vicino ai bisogni di un elettorato di comodo, piuttosto che sottostare alla burocrazia o mediazione politica di uno statalismo centrale.
Oltre a determinare (a mio avviso) un ampio divario territoriale nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali.
All’articolo 3 (Determinazione dei LEP ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, 3° comma, della Costituzione) è previsto l’attuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni che dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) essere garantiti su tutto il territorio nazionale; i relativi costi e fabbisogni standard sono determinati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo le disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 791 a 801, della legge 29 dicembre 2022, n° 197, in materia o ambiti indicati da legge.
Atteso che l’attuale proposta di passaggio di competenza ed efficacia in autonomia alle Regioni più efficienti determinerebbe un ampliamento, nel linguaggio comune di un “politically correct”, del differenziale con quelle meno efficienti, a nulla varrebbe l’ipotesi di un ammortamento, per colmare il gap, con fondi e funzioni perequative dello Stato.
Non è, infatti, un caso che lo scenario nazionale mostra un Paese diviso in due e precisamente i Comuni del Nord dove insiste una buona capacità di riscossione (95-98%) delle entrate tributarie ed extra tributarie e di pagamento delle spese correnti,
nonché una minore incidenza dei debiti finanziari e delle anticipazioni di tesoreria, e i Comuni del Sud (media 75-80%) con serie difficoltà di incassare l’imposta sulla casa e la Tari (la tassa per la gestione dei rifiuti).
Certamente i Comuni del Nord dimostrano una perfomance migliore in quanto migliore risulta l’erogazione dei servizi al cittadino, di contro i Comuni del Sud arrancano nella riscossione delle entrate previste e dovute dai contribuenti, siano essi cittadini o aziende e non riescono a garantire i servizi perfino di primo livello.
Di fatto, abbiamo visto come il principio del Federalismo fiscale, anziché mitigare le diseguaglianze tra Regioni, ha generato divergenze strutturali in campo di equità fiscale e determinato squilibri economico-sociali nell’erogazione di servizi di competenza.
Conseguenze ?
Il Sud vanta un primato di primo piano per i Comuni in serie difficoltà finanziarie (predissesto – dissesto); condizione di inefficienza organizzativa per processi datati, poco o nulla digitalizzati; banche dati NON aggiornate; sistemi informatici vetusti e software che hanno limitate capacità di interazione; poco personale (causa quiescenza e mancate assunzioni) dedicato alla gestione ordinaria e al supporto dei contribuenti; scarsa o inesistente formazione continua rispetto ad un mondo sempre più dematerializzato, veloce e competitivo.
Sono queste, per buona parte, le condizioni strutturali che fanno sì che l’Ente, in materia di attività legate alla riscossione ed alla verifica delle situazioni anomale e ricerca delle sacche di evasione, si rivolga a soggetti esterni specializzati al fine di arginare i mancati introiti, cercando di sopperire o colmare, per quanto possibile, il “BUCO” finanziario che rischia, seriamente, di lasciare in eredità alle future generazioni.
Insomma, un disegno di legge che guarda al passato con il ritorno ai Ducati e Signorie, dei mini-stato all’interno dello Stato.
Di recente si è appreso che alcuni membri autorevoli del (Clep) Comitato tecnico chiamato a costruire l’infrastruttura fondamentale dell’autonomia differenziata: i livelli essenziali delle prestazioni, si sono dimessi prendendo atto che non ci sono più le condizioni per una partecipazione ai lavori del comitato per l’individuazione dei LEP; come dichiarato in una lettera indirizzata al Ministro Calderoli ed al presidente del Comitato Sabino Cassese da parte di (Giuliano Amato, Franco Gallo, Alessandro Pajno e Franco Bassanini). Certamente dimissioni di illustri firmatari che pesano sia sul confronto quanto sullo sviluppo attuativo della riforma.
Gli attuali 58 membri del Comitato, attualmente rimasti, hanno l’incarico di affrontare e portare avanti un percorso legislativo ed amministrativo, necessario e graduale al raggiungimento dello scopo prefissato, l’attuazione della riforma.
Ci si auspica la parola fine e cali definitivamente il sipario su questo DDL.