di Tonino Pintacuda
Che fine hanno fatto i trentenni bagheresi?
Dovrebbero essere loro i protagonisti di questi anni ma tranne rare e splendenti eccezioni sembra proprio che i nati tra il Settantasette e l´Ottantatré abbiano fatto la fine dei basilischi, delle chimere, degli unicorni. Tutti gli esseri mitici che popolavano l´immaginario medievale sono spariti nelle sabbie del tempo. Terribile è che nessuno senta la mancanza di questa larga fetta di popolazione. Basta sbirciar le statistiche, quasi immutate nascite e morti. Ma soprattutto non cresce il numero delle nuove famiglie.
Politiche miopi a livello locale, regionale, nazionale ed europeo hanno bucato i sogni d´un´intera generazione. Un baffuto filosofo cercava l´oltreuomo perché, scriveva, è impossibile che l´uomo attuale faccia o desideri meno dei suoi predecessori. E invece è andata proprio così. Perfino i coccodrilli gonfiabili hanno resistito alla crisi e immutati riappaiono anno dopo anno a dar tocchi d´esotico alle nostre spiagge. I giovani bagheresi meno d´un pupazzo li abbiamo considerati, condannando loro e la città tutta a una morte lenta.
Spermatozoi s´impigriscono e smettono di seminar nuove generazioni, la Bagheria che verrà sarà acciaccata, con facce da vecchi apache solcate da rughe che paiono montagne su carte geografiche. Tutti partivano e facevano vivi sacrifici sperando di ritornare. Come nella bella scena di Nuovo Cinema Paradiso, in mezzo alle ancore Alfredo intima a Totò di andar via e non tornare, che questa terra non perdona chi si volta.
Manco l´emigrazione è più una risposta, che “cu nesci, arrinesci” è un progetto esistenziale tramontato. Perfino al di là dell´Oceano, nella ridente America tutto cambiò. Ne saprà qualcosa il nostro primo cittadino che lì ha una parte della sua famiglia. Ci sono venticinquenni capaci e meritevoli che si ritrovano a dover tener testa ai propri genitori che gli suggeriscono di smetterla d´accumular esperienze gratuite e di far l´unica cosa sensata: cercarsi una bella raccomandazione. Una di quelle serie capaci di collocarti a vita nel limbo d´una sala d´aspetto di qualche istituzione, a sorvegliar l´ingresso per tener lontani coetanei meno capaci. Scorciatoie elevate a progetti di vita: alla ricerca del calcio in culo che non c´è succhiando avidi mammelle rinsecchite.
Che nuove famiglie possono mai formarsi, nascere e germogliare se non ci può essere mutuo da firmare, frigorifero da riempire, abbonamento televisivo da maledire come iniquo balzello? Non possono esserci per noi nemmeno quei piccoli gesti che abbiamo vissuto nell´eden di “figlio di famiglia”.
Hanno trebbiato futuri e sparso sale sui sogni, proprio quelli che dovevano lievitare e spinger a metter su casa. Casa, lavoro, famiglia. Desideri proibiti per i figli d´un´intera città, con la nera consolazione che è destino comune a tutte le latitudini, come se l´abbraccio dei fratelli d´altri meridiani e paralleli consolasse davvero.
Nessuno scende in piazza, nessuno monta un presidio davanti al municipio, nessuno che abbia un´ideale da condividere. Robert Walser scrisse: «Se avessi voglia di andare a Monaco, vorrebbe dire che non ho più la minima fiducia in me stesso, mentre la decisione di rimanere qui a Zurigo significa che mi sento capace di fare un´infinità di cose belle e buone». Basta sfogliar atlanti e sostituire Monaco con tutte le città in cui abbiamo sognato di cominciare a vivere e Zurigo con Bagheria. Ma i trentenni sono scomparsi e si son portati dietro anche la seppur minima possibilità di lottare.