Una tradizione ormai consolidata dei Bagheresi, di carattere religioso, è quella di “iri a fari u viaggiu a Maronna Aritu”, cioè alla Madonna nera di Altavilla Milicia.
Certo, oggi, non è più quella catena umana che negli anni ‘40/’50, a piedi, si riversava sulla statale 113, fino a raggiungere il luogo votivo. Alcuni fedeli, per eccesso di devozione o per grazia ricevuta, affrontavano quel percorso addirittura scalzi. Ma era, appunto, una tradizione che il “viaggio” a un Santo si facesse a piedi nudi o in altro modo. Del resto, lo è anche tuttora. Vedi anche l’acchianata dei Palermitani verso la grotta di Santa Rosalia, a Monte Pellegrino.
Gli ex voto dei nostri concittadini conservati nel Santuario della Milicia sono molto numerosi e si riferiscono, nei quadretti votivi, a gravi incidenti sul lavoro, cadute dai carretti, calci di animali, malattie, parti difficili, e via dicendo. Ma la devozione per la Madonna della Milicia riguarda la popolazione di tutto il litorale nord occidentale e soprattutto dei Palermitani.
La tradizione vuole, infatti, che come Santa Rosalia aveva salvato la città dalla peste nel 1624, così la Madonna della Milicia l’aveva protetta dalla incursione dei pirati nel 1636. Ma c’è di più. Contrariamente a quanto si riteneva dalle nostre parti, e ancora oggi forse si ritiene, la Madonna di Altavilla non è coincidente con quella del famoso Santuario di Loreto nelle Marche, e quindi non è la Madonna Lauretana; per i Palermitani è, infatti, la Madonna dell’Oreto, cioè quella oltre il fiume Oreto, fiume che più di trecento anni fa rappresentava il confine della città e che bisognava superarlo per andare alla Milicia, tant’è che alcuni quadri votivi della fine dell’Ottocento portano la dizione esatta “Madonna dell’Oreto”. A questo punto, quindi, sarebbe più corretto denominarla “Madonna della Milicia”. Per approfondire questo argomento si consiglia di leggere il volume del prof. Antonino Buttitta “Gli ex voto di Altavilla Milicia” – Editore Sellerio – Palermo 1983. Il volume riporta un lungo scritto firmato da Giuseppe Bucaro, Conservatore della raccolta ex-voto del Santuario, dal quale ho tratto gli elementi sopracitati.
C’è da dire, però, che la Madonna di Loreto di Altavilla Milicia non è la stessa di quella dell’Oreto di cui parla Gaspare Palermo nella sua “Guida istruttiva per Palermo e Dintorni”; questi afferma, infatti, che in Contrada Falsomiele vicino al fiume Oreto vi era la chiesa con una Congregazione della Madonna dell’Oreto.
Ritornando al viaggio che anche noi Bagheresi facciamo alla Santa, mi viene in mente quel giorno di circa settant’anni fa che mi vide partecipante e nel contempo osservatore di quel fermento generale che animava il paese.
Le mie sorelle, tutte più grandi di me, erano state invitate ad andare alla Milicia con un carretto, ma la mattina della partenza quel carretto non era più disponibile; si poteva, però, utilizzarne un altro, da tempo “parcheggiato” nella strada, come soleva fare ognuno che non disponeva di uno spazio al chiuso. A za Titidda, che ne era proprietaria, infatti, ci disse: “I ruoti ru carriettu sunnu allascuti” (le ruote del carretto sono allentate), cioè non c’era perfetta adesione tra il cerchione e la struttura in legno). Turiddu, l’incaricato del “trasporto”, esclamò che ci avrebbe pensato lui. E’ da ricordare, per inciso, che le ruote di un carretto poco usato e per di più tenuto al sole, diventano aride e quindi perdono consistenza. Turiddu che se ne intendeva, prese dell’acqua e le bagnò abbondantemente per farle “gonfiare” in modo che il cerchione di ferro aderisse perfettamente allo scheletro in legno.
Dopo un’oretta, ‘mpajato l’animale (cioè legato l’animale al carretto) – non ricordo più se fosse un asino, un mulo o un cavallo – eravamo in viaggio. Io che avevo circa dieci anni mi preoccupavo credendo che da un momento all’altro il carretto potesse crollare; invece, dopo qualche ora, eravamo già al ponte di San Giovanni. Qui si sacrificò ad aspettarci lo stesso Turiddu perché oltre non si poteva andare, se non a piedi.
C’erano tantissimi fedeli molto stanchi perché avevano fatto diversi chilometri a piedi scalzi e, ora, dovevano faticare ancora di più per la pendenza della strada. Ad ogni buon conto anche noi raggiungemmo la collinetta e la spianata della Chiesa da dove cominciava il paese. C’era una folla strabocchevole, si udivano vocii di ogni genere, si notavano venditori di tutti i tipi, baracche, tavolini apparecchiati, sedie, giostrine e via discorrendo.
Addentrandoci su per il corso principale e le strade laterali, restai colpito soprattutto dalle grida dei venditori; un tizio diceva: “Signura a vuoli a tavula o friscu? Assa trasi ca cià calamu” (signora, vuole che le sistemi un tavolo al fresco? Si accomodi che mettiamo giù la pasta!). Un carnezziere, frattanto, aggiungeva: “Talè, talè… chi beddi stigghiuola! Tutta ri porcu e sta ron sasizza! (Guardate, guardate…che ottimi stigghiuola! Tutta di maiale è questa gran salsiccia!). Per quanto riguarda gli stigghiuola, non esistendo il corrispondente italiano, possiamo dire a chi non è delle nostre parti che sono dei manicaretti di budella attorcigliate con l’omento di capretto o di agnello o di castrato.
Poco più avanti un fruttivendolo ambulante “abbanniava” (bandiva gridando): “U minnularu cu l’ossa ruci…v’accattativi i zorbi ca su’ megghiu ra racina”! Per chi non avesse inteso, per “minnularu cu l’ossa ruci” è da intendere una qualità di albicocche il cui nòcciolo all’interno ha un seme dolce e saporito come le mandorle, mentre i “zorbi ca su’ mugghi ra racina” (le sorbe sono più buone dell’uva) può essere considerato un giudizio del tutto personale del venditore, perché sono due frutti di gusto completamente diverso. Forse è solo un motivo concorrenziale rispetto a chi vende l’uva.
In occasione delle feste, comunque, è un attivarsi da parte di chi è del mestiere e di chi non lo è; di conseguenza sono in tanti ad “armari putia” (mettere bottega), cercando di vendere la “qualunque”, con larga offerta di oggetti per i bambini.
Al ritorno eravamo tutti sfiniti, ma fortunatamente il carretto non aveva ceduto.
* * *
Preghiere alla Madonna di Altavilla rilevate da uno scritto di Antonino Russo:
“Stu viaggiu a Maronna Aritu/ p’a guarigioni ri me maritu”
“Preiu tantu ‘a Maronna Aritu / pi truvari un bravu zitu”
Quand’ero piccolo sentivo spesso ripetere:
“Pi truvari stu picciottu sapuritu / appa ffari u viaggiu a Maronna Aritu”
“Fammi passari stu gran pruritu / pensaci tu Maronna Aritu
Alcuni articoli giornalistici del passato
La festa al Santuario della Madonna della “Milicia” da L’Ora del 6-7 settembre 1903 Ricorrendo nei giorni 6, 7, 8 del c. m. di settembre la consueta festa in onore della Beata Vergine Lauretana, la Commissione ha disposto i seguenti spettacoli: Omissis
Treni straordinari per Altavilla Milicia – dal G. di S. del 6 settembre 1947 – In occasione della festa che avrà luogo ad Altavilla Milicia il giorno 8 corrente in onore di Maria SS. Lauretana, per agevolare il viaggio di andata e ritorno degli accorrenti, saranno effettuati nei giorni sottoindicati i seguenti treni viaggiatori: Omissis
La festa della Madonna della Milicia di Paride Santangelo – da L’Ora del 13-8-1936
La Madonna Miracolosa. Così è chiamata dai fedeli che da tutte le province della Sicilia vengono in pellegrinaggio a prostrarsi ai piedi della Madonna di Loreto. Non è antico il nostro Santuario. Trecento anni fa, dice la tradizione, i pirati scorrazzanti nel nostro mare, per liberarsi dai pericoli di una tempesta, che attribuirono all’immagine che tenevano come coperchio di una cassa, consegnavano agli abitanti della Milicia il quadro della Vergine SS. Fu gran festa per i milicioti e per i credenti dei paesi vicini.
Da allora, nella Madre Chiesa, sorse la Cappella della Madonna di Loreto che, pochissimi anni addietro, da una Amministrazione dell’era fascista, veniva restaurata. Oggi si ammira il bellissimo affresco del pittore Tomaselli, il quale, in uno sfondo di cielo autunnale, vi dipingeva la Santa Casa di Loreto sorretta da Angeli e che rappresenta la “Traslazione della Santa Casa di Loreto”. In alto, e ancora più bella, è dipinta la SS. Trinità. Tanto vi è di artistico nel nostro Santuario, e dico di artistico,in quanto è conosciutissima l’arte del palermitano Onofrio Tomaselli (1) (omissis)
La festa della Milicia è tradizionale, e da un capo all’altro della Sicilia è conosciuta. Si celebra ogni anno nei giorni 6, 7 e 8 settembre. L’ultimo giorno è il più bello. Le nostre famiglie per questo giorno avranno degli ospiti e le donne si fanno in cento per mettere tutto a posto nella casa. (omissis)
L’alborata che si diffonde fra questi monti sempre verdi che ci fanno corona, e questo mare sempre argenteo nelle albe settembrine, ci scuote, ci invita e ci costringe alla preghiera. I primi due giorni è festa nostra, paesana e ce la godiamo tutta. Dopo la mezzanotte del giorno sette, lungo la Strada Nazionale Palermo – Altavilla è una processione di carri addobbati con lenzuola palme; sono famiglie che vanno alla festa della Milicia. Tutte le strade che ci congiungono con i paesi di montagna brulicano di devoti e dovunque si scorgono i militi dell’Arma Benemerita che regolano il servizio i P. S. (omissis)
Spesso si incontrano uomini e donne che a piedi nudi partono dai loro paesi recitando rosari. I pellegrini che arrivano coi treni da Termini e da Palermo, che sono migliaia e migliaia, scalzi, con le scarpe a tracolla si dirigono verso “l’aereo paese”, come lo definì il Prefetto Marziale, e vanno all’altare della Madre Miracolosa. Chi si ferma in Chiesa per un istante può vedere dei fedeli che, appena messo piede sulla soglia del Tempio, si prostrano a terra e trascinando la lingua sul pavimento si portano fino ai piedi dell’Altare. Tutti portano delle offerte alla gran Madre. Chi un cero, chi degli oggetti d’oro e chi del denaro.
Le pareti della casa dove si ricevono le oblazioni sono letteralmente coperte di quadri raffiguranti i miracoli attribuiti a “Bedda Matri da Milicia”. (omissis)
Tutte le strade dell’abitato e dei dintorni sono colme di gente. Dopo la Santa Messa e il panegirico, eseguito sempre da predicatori celebri, la gente la si vede far corona intorno alle improntate rosticcerie. Non è esagerato dire che in questo solo giorno si macellano centinaia di pingui suini, vitelli, montoni, ecc. Il paese in pochi istanti si trasforma in una grande rosticceria. Fumo e canti dappertutto. (omissis)
Centinaia di venditori di giocattoli, di dolci e di gelati occupano tutti i marciapiedi.
Dopo le corse dei cavalli è l’ora della processione della Sacra Immagine. È commovente! Uno stragrande numero di fedeli è al seguito. Le note della musica e le voci di qualche mutolino che invoca il miracolo, si sentono appena, tanta è la moltitudine di gente che prega e invoca il nome della Madonna. (omissis)
Terminata la processione e dopo i concerti musicali, è l’ora della discesa del Carro Trionfale. È questo un enorme carro alto circa 15 metri, sul quale sta a suonare la migliore delle due musiche ingaggiate per la festa. Il carro, addobbato per bene, è tirato da dodici e più buoi che, col suono dei loro campanacci attaccati al collo, fanno un bel contrasto con le manifestazioni di festività urbana. “A muntagnedda d’oro” è chiamato il carro, per le centinaia di lampadine elettriche che lo illuminano.
I fuochi artificiali chiudono la bella festa che con ansia attendiamo. Per interessamento delle Gerarchie del Partito, la sistemazione della strada di accesso dallo scalo ferroviario all’abitato è già un fatto compiuto. Quest’anno non più polvere soffocante lungo la strada, ma il pellegrino potrà godere del bel viale pulito e cilindrato che porta al paese, oggi ancora più ben tenuto per la solerzia del giovane Podestà dott. Punzo.. (2) (Omissis)
(1) Pur essendo nato a Bagheria, nel 1866, da genitori bagheresi, il nostro concittadino veniva considerato palermitano perché si era trasferito a Palermo nel 1890; in quella occasione fece cambiare la finale del cognome da Tomasello a Tomaselli.
(2) Nunzio Punzo, primo Podestà di Bagheria dal 1927 al mese di luglio 1929.