Iniziamo una serie di pubblicazioni dei resoconti di viaggio di alcuni viaggiatori che sono venuti a Bagheria dal 1700 al 1900.
I testi sono tratti dal libro “Bagheria fra mostri e viaggiatori” di Martino Grasso, pubblicato nei mesi scorsi. Il libro racchiude i testi di circa 150 viaggiatori soprattutto del nord Europa.
Ci hanno lasciato delle descrizioni minuziose di come era Bagheria negli anni.
Il primo viaggiatore di cui pubblichiamo il resoconto di viaggio è Patrick Brydone, scrittore e studioso di scienze fisiche scozzese.
Brydone nacque nel 1736 a Coldingham nel Berwickshire e morì nel 1818.
Arrivò in Italia dal 1767 al 1771.
Il suo viaggio in Italia segnò una tappa fondamentale nella sua vita. Il libro di Brydone divenne ben presto fondamentale nella letteratura europea sulla Sicilia. È scritto sotto forma epistolare indirizzato a Lord William Beckford di Somerly. In realtà non erano autentiche missive ma una forma letteraria molto in uso in quel tempo.
L’opera si intola “A tours through Sicily and Malta in a Series of Letters to William Becford” ed ha avuto una cinquantina di traduzioni.
A seguito del suo viaggio in Italia, furono molti a seguirne le tracce.
La prima edizione risale al 1774 e venne pubblicata a Londra.
Di seguito pubblichiamo la traduzione di Vittorio Frosini, Milano, 1968.
Patrick Brydone venne a Bagheria il 28 giugno del 1770.
È stato il primo a descrivere minuziosamente villa Palagonia con gli arredi e le statue.
Lettera XXIV
Palermo 28 giugno
“Vi sono due piccole zone fuori città, una ad est e l’altra ad ovest, dove i nobili più importanti hanno le loro ville di campagna. Ci siamo stati, e abbiamo trovato delle case bellissime. La zona ad est si chiama Bagaria, quella ad ovest il Colle. Siamo tornati in questo momento dalla Bagaria, e mi affretto a darti un resoconto delle cose buffe che abbiamo visto, per quanto forse non ne rimarrai molto entusiasta.
Il palazzo del principe di Valguarnera supera a mio avviso in bellezza e finezza tutti gli altri della Bagaria. Non è però il più originale: dovessi descriverlo, potrei soltanto parlarti di cose che hai visto tu stesso in altri paesi, o di cui hai sentito parlare spesso. Così te ne farò conoscere un altro, uno solo, che per la sua bizzarria non ha l’uguale sulla faccia della terra. Appartiene al principe di P…(Palagonia) un uomo che è proprietario di una fortuna immensa e che ha dedicato la vita intera allo studio delle chimere e di mostri, e se ne è fatti fare tanti, che più ridicoli e più strani neanche la fantasia dei più arditi scrittori di romanzi o di storie di cavalieri erranti avrebbe saputo creare.
La folla stupefacente di statue che circonda la casa sembra a distanza un esercito in miniatura posto a sua difesa. Ma appena sei lì in mezzo e ciascuna assume il suo vero aspetto, ti pare di essere capitato nel paese dell’illusione e dell’incantesimo: nell’immenso aggruppamento non v’è una sola statua che rappresenti un oggetto di natura, e non si sa se rimanere più stupiti per l’assurdità dell’immaginazione che ne è stata la creatività, o per la sua prodigiosa fertilità.
Ci vorrebbe un volume intero per descrivere tutto, e sarebbe una storia ben triste. Costui ha posto teste umane sopra corpi di animali di ogni genere, e teste di animali su corpi umani. Talvolta poi ricorre a un incrocio di cinque o sei bestie diverse che non hanno alcun riscontro in natura: mette una testa di leone su un collo d’oca, e sotto ti colloca un corpo di lucertola, zampe di capra e una coda di volpe. Sul dorso di questo mostro ne pone un altro, più orrendo se possibile, con cinque o sei teste e una foresta di corna tale da dar dei punti alla bestia dell’Apocalisse. Non v’è specie di corna al mondo che manchi alla collezione, e la gioia dell’artefice è di vederle spuntare tutte su un’unica testa.
È una strana specie di pazzia la sua, ed è inconcepibile che non sia rinchiuso in un manicomio già da un pezzo. Ma è un pazzo perfettamente innocuo, e non dà noia a nessuno con la sua mania; al contrario, procura il pane a molti statuari ed altri operai, che egli ricompensa nella proporzione in cui riescono a far coincidere la loro immaginazione con la sua, ossia in altre parole in relazione alla bruttezza dei mostri che producono. Sarebbe inutile e tedioso dare un resoconto particolareggiato di tutte queste assurdità. Le statue che ornano, o meglio deformano il grande viale e circondano il cortile del palazzo, ammontano già a seicento; ciò nonostante, si può dire che egli non abbia infranto il secondo comandamento, perché in tutta quella massa non v’è barlume di rassomiglianza che sia in cielo, in terra o nell’acqua. I vecchi fregi fatti mettere da suo padre, che era una persona ragionevole, sembra fossero di buon gusto, ma sono stati fatti a pezzi e ammucchiati da una parte per far posto alle nuove creazioni.
L’interno di questo castello incantato corrisponde in tutto e per tutto all’esterno. È altrettanto bizzarro e fantastico, e non puoi girarti da nessun lato senza trovarti faccia a faccia con qualche laida figura. Alcune sale sono spaziose e magnifiche, con soffitti alti, a volta. Questi, invece di essere coperti di stucchi e gessi, sono interamente rivestiti di grandi specchi accuratamente congiunti insieme. L’effetto che ne risulta (perché ogni specchio forma un piccolo angolo con il prossimo) è esattamente quello di uno specchio moltiplicatore; sicchè quando tre o quattro persone passeggiano di sotto, pare che ce ne siano tre o quattrocento che passeggiano di sopra. Anche le porte sono ricoperte con specchietti tagliati nelle fogge più ridicole e inframmezzati con cristalli e vetri di ogni tipo e colore. Tutti i caminetti, le finestre e le credenze sono zeppi di piramidi e colonnine fatte con teiere, coppe, ciotole, tazze, piattini, eccetera, solidamente cementati insieme. Alcune di queste colonnine non sono brutte: ce n’è una che ha per base un vaso da notte di porcellana e per capitello una corona di graziosi vasi di fiori; il fusto della colonna fino a quattro piedi di altezza è interamente composto da teiere di differenti grandezze che diminuiscono gradatamente dalla base alla cima. La profusione di porcellana impiegata è incredibile: posso dire che non vi sono meno di quaranta piramidi e piastrini foggiati in questo modo assurdo.
Quasi tutte le camere hanno il pavimento fatto di lastre di marmo fine di diversi colori che sembrano tante lapidi tombali. Alcune sono riccamente decorate con lapislazzuli, porfido ed altre pietre di valore, ma il bel lucido che avevano è ora scomparso e sembrano di marmo comune. Al posto di queste magnifiche lastre il padrone di casa ha posto un assortimento di sue invenzioni di fresca data, alcune delle quali non prive di pregio: si tratta di tavole di tartaruga finissima, madreperla, avorio e metalli vari, montate su bei sostegni di ottone massiccio.
I vetri delle finestre sono di ogni specie e colore, mescolati senza ordine né criterio: blu, rosso, verde, giallo, porpora, violetto. Così da ogni finestra si possono vedere il cielo e la terra del colore che si vuole, basta guardare dal vetro giusto.
L’orologio a pendolo è sistemato dentro il corpo di una statua: gli occhi della figura si muovono col pendolo, e roteano mostrando alternativamente il bianco e il nero. L’effetto è orribile.
La camera da letto del proprietario e il suo spogliatoio sembrano due scomparti dell’arca di Noè: non v’è bestia, per vile che sia, che non compaia lì dentro; rospi, ranocchi, serpenti, lucertole, scorpioni, tutti scolpiti in marmo di colore adatto. Ci sono anche moltissimi busti, altrettanto stravaganti. In alcuni si vede da una parte un bellissimo profilo; girali dall’altra, e ti si presenta uno scheletro; oppure vedi una balia con un bambino in braccio; il corpo è esattamente quello di un infante, ma la faccia è quella di una vecchia grinzosa di novant’anni.
Per qualche minuto si può anche ridere di queste follie, ma presto l’indignazione e il disprezzo hanno la meglio, e il riso si muta in ghigno. Confesso che me ne sono stancato presto, benché alcune trovate siano così bizzarre che possono giustificare un po’ d’allegria anche da parte del cinico più incallito.
Le statue degli antenati sono particolarmente attraenti: tratte da alcuni vecchi dipinti, hanno un aspetto più che venerabile. Il padrone di casa le ha rivestite da capo a piedi con eleganti abiti di marmo, e l’effetto è il più ridicolo che si possa immaginare. Le scarpe sono tutte di marmo nero, le calze rosse, i vestiti sono di diversi colori, blu, verde, o screziati, con ricche trine giallo antico. Le parrucche degli uomini e le acconciature delle signore sono di un bel bianco, e così pure le camicie, con pettorine e piegoline fluenti, tutte in alabastro. I muri della casa sono rivestiti di bei bassorilievi di marmo bianco, di ottimo gusto. Non potendoli rimuovere o modificare, il principe si è limitato ad aggiungere delle immense cornici. Ogni cornice è composta di quattro grosse lastre di marmo.
L’autore e padrone di questa straordinaria collezione è una figura misera e sparuta, che rabbrividisce al minimo spirar di vento e che sembra abbia paura di chiunque gli rivolga la parola. Con mia sorpresa però l’ho sentito in varie occasioni fare dei discorsi abbastanza acuti. È uno degli uomini più ricchi dell’Isola, e si crede che non abbia speso meno di ventimila sterline per creare il suo mondo di mostri e chimere. Avrebbe potuto anche scegliere un mezzo più economico per dimostrare che era pazzo. Comunque tutto ciò procura il pane ad una quantità di poveretti, per i quali egli è un ottimo padrone. La casa che ha a Palermo è più o meno dello stesso stile, le sue carrozze sono ricoperte di decorazioni d’ottone, tanto che ritengo siano a prova di moschetto. Il governo aveva serie intenzioni di demolire il reggimento di mostri che egli ha posto intorno a casa sua, ma dal momento che è un uomo di buon cuore e innocuo, e che un simile provvedimento gli spezzerebbe certamente il cuore, si è finora soprasseduto. Tuttavia si dice che si siano verificati dei casi molto incresciosi fra le donne incinte che avevano visto le statue: nel vicinato ci sono stati parecchi parti mostruosi. Le signore si lagnano di non poter andare a passeggio alla Bagaria senza che qualche forma orribile non le ossessioni poi per delle ore. Si dice che anche i mariti non siano affatto soddisfatti di quel grande assortimento di corna.
Adie. Ti scriverò di nuovo con la prossima posta: gli argomenti si moltiplicano a gran velocità in questa metropoli.”
Tratto da “Bagheria fra mostri e viaggiatori” edizione Plumelia. 308 pagine. 16,50 euro. In vendita preso le librerie e le edicole di Bagheria