Venerdì 16 Ottobre 2020, ore 18:30
Torno a casa con passo grave, porto addosso una sentenza che pesa come un macigno: “Positivo al Covid 19”.
Apro la porta e me la chiudo alle spalle e sento un tonfo che fa eco anche nel mio cuore: quella porta si chiude a tutto ciò che sta fuori. Nessuno potrà varcarla per entrare né io potrò aprirla per uscire. Io? Noi: io, mia moglie e mio figlio.
Ora realizzo che in questa positività al virus, inevitabilmente, ho trascinato pure loro e sento le forze che mi abbandonano al pensiero che devo informarli. Avverto dei brividi, forse la febbre sta cominciando a salire o, forse la paura, lo sgomento stanno prendendo il sopravvento.
“Ciao Gio, tutto ok? dice mia moglie venendomi incontro. “Che faccia! aggiunge.”
“Ho fatto il tampone rapido per i casi che ci sono in ufficio e… sono positivo.”
La voce mi si spezza come si spezza il cuore nel darle questa notizia. Non c’è neanche il tempo di guardarci negli occhi e realizzare che sta accadendo proprio a noi che tutti i telefoni di casa cominciano a squillare: la notizia è già più virale del virus.
Inizia così la nostra quarantena, io, da positivo, mia moglie e mio figlio da conviventi con positivo. Compaiono i primi sintomi: febbre alta circa 38 fino ad arrivare a 38,5 ma soprattutto spossatezza da non riuscire nemmeno ad alzarmi dal letto per andare in bagno. Questi sintomi mi accompagnano per giorni, giorni in cui capisci che questo virus non guarda in faccia nessuno. Nella mia testa ho subito pensato “dai, magari è una forma lieve, 4/5 giorni e passa tutto come una normale influenza”.
Ma l’ombra del malore dell’estate scorsa comincia a mettermi paura, a farmi sentire “fragile” e mi aggrappo a quel saturimetro bianco e grigio, arrivato come un regalo necessario dall’amico più ansioso, non appena ha saputo della mia positività: “Mi raccomando, ogni due ore controlla la saturazione!”
Questo pensiero è stato devastante nei giorni successivi quando, la febbre non scende di molto con il semplice paracetamolo e si aggiunge anche la tosse. Insomma arrivano quelli che si chiamano “segni” più seri del Covid che ti fanno capire chiaramente che non sei al sicuro e sei una minaccia anche per chi ti sta accanto. La tosse è secca e persistente, ma non isolata, bensì collegata al respiro. Non riesco a respirare un po’ più a fondo che mi fa male la trachea e parte questa tosse sfiancante. Più tossisco, più cerco di calmarla prendendo aria, ma più cerco di prendere aria e più insiste la tosse. Anche parlare mi risulta difficile, sembra di aver disimparato a respirare ed esprimermi allo stesso tempo. Anche stare al telefono, l’unico lusso che posso concedermi per socializzare in sicurezza, diventa pure faticoso.
Si intensifica quindi il protocollo di cura con antibiotico, paracetamolo, cortisone ed eparina e soprattutto un filo diretto e sempre attivo, con il mio medico di famiglia, con gli specialisti, parenti e non, che monitorano tutti i parametri da controllare per tenere a bada il mio cuore ballerino. Persone, prima, ed eccellenti professionisti che vorrei tanto abbracciare quando si potrà tornare a farlo.
Nonostante tutto, organizzo la mia quotidianità con appuntamenti, ricorrenti e fissi, che mi aiutano a far scorrere il tempo e a tenere sotto controllo i pensieri negativi.
Stabilisco con l’aiuto di mia moglie una routine che ci consente di impegnare le ore.
Insieme pianifichiamo come nei giorni normali: misurazione temperatura, saturazione, colazione, terapia, pulizia della camera, sanificazione di tutto ciò che tocco o semplicemente sfioro con il pensiero. Mia moglie è l’unico contatto al di là della porta dello studio dove mi sono isolato dal mondo; insieme a lei oggetti che entrano ed escono per essere sottoposti a severi lavaggi anti virus. Spesso mi fa ridere recitando la parte della badante ucraina che interpreta alla grande quando la sua mente si alleggerisce dal peso che questa incredibile esperienza ci sta dando.
Ho tempo e trovo le poche energie per sentire i miei anziani genitori. Cercare di rassicurarli è il mio chiodo fisso. Penso a mio padre con la sua grave patologia che non puoi mollare neanche un istante e mia madre che si scoraggia subito con poco. Devo farmi forza e questo mi aiuta a cercare energie che altrimenti faticherei a richiamare. Per fortuna hanno vicini di casa che sono sempre pronti a correre in loro aiuto e il condominio non ha porte chiuse e diventa un’unica, grande famiglia che conforta anche me, nell’inutilità della mia positività.
Durante la giornata sono i messaggi dei colleghi e degli amici a rompere la monotonia del tempo che passa lento e anche i gesti di vicinanza più piccoli portano un sorriso e danno un motivo in più per tornare in forze e ripartire. Ogni ascensore che si apre al nostro pianerottolo ci porta consegne salvifiche: dalla farmacia, dal minimarket di zona, dalla preziosità degli amici fraterni, carezze e abbracci ideali in momenti di così radicale separazione.
Cosa rispondo quando mi chiedono “E oggi come stai? Ormai stai meglio vero?”
E la mia risposta è che, se anche son passati diversi giorni mi sembra di essere su un’altalena in continuo movimento, giorni in cui dici “sì sto bene” ed altri invece in cui il tuo “nemico” si fa sentire e ti mette completamente ko. In quei giorni neppure mio padre sembra capire le mie difficoltà e decide di cominciare a fare i capricci facendomi andare fuori di testa.
Poi arriva l’ennesimo tampone che dà finalmente esito negativo. Mi dicono però di stare ancora in casa qualche giorno, e comunque di tenere alta la guardia perché il fisico rimane con le difese immunitarie indebolite. Insomma non è finita davvero e questo si saprà solo quando l’esito della prossima Tac mostrerà polmoni sani e immacolati, e quando inizierà a calare il tasso di contagio generale. Intanto, spero che il peggio sia passato, per me, per i miei cari e ovviamente per tutti. E adesso più che mai comincio a prendere consapevolezza e ad avere paura per quello che poteva essere.
Il Covid ha tentato di dissolvere legami e vicinanza. Ma senza riuscirci fino in fondo.
Sono passati più di cinque mesi da quel fatidico 16 ottobre. Se faccio un bilancio di cosa ho dovuto affrontare fino ad oggi potrei gravare sul pessimismo generale e non essere d’aiuto a mia moglie che in questo momento sta affrontando il suo Covid ed ai miei figli che insieme a tanti loro amici e coetanei stanno pagando, affrontando giornate interminabili di separazione. Il sopraggiungere della DaD, dovuto all’alta curva del contagio e della positività, li ha sottoposti all’assenza di contatto relazionale-emotivo ed ha riempito il cuore di tutti di angoscia, tristezza, silenzio, vuoto, disagio e disorientamento.
Per questo ho deciso solo ora di raccontare la mia esperienza e dare il mio contributo. Tutti abbiamo il dovere di non arrenderci e di non mollare non solo per coloro che non ce l’hanno fatta ma soprattutto per chi ci mette impegno per resistere. Raccontare i momenti difficili, significa mettere a disposizione un’esperienza, allentare la paura che nasce da ciò che non si conosce o che viene ingigantito dai media e dalle informazioni che si sovrappongono e ci confondono.
Allora il senso di responsabilità di ciascuno di noi diventa lo strumento principale per affrontare l’incertezza, rispettando le indicazioni che ci vengono fornite per proteggerci, per evitare che la paura diventi eccessiva rispetto ai rischi oggettivi e ci possa danneggiare.
Si potrebbe trasformare questa situazione, di per sé avversa e dannosa, in un’opportunità di crescita post-traumatica, un periodo in cui scoprire risorse, possibilità, capacità, in cui aumentare il nostro senso di resilienza attraverso la condivisione, l’interazione, lo scambio, la reciprocità ma, soprattutto, attraverso il tanto necessario, anche se virtuale, contatto umano. Forse, finalmente, abbiamo capito quanto il bene comune, la forza della solidarietà, dipenda certo da chi ci governa, ma ciascuno di noi è chiamato a rispettare le regole e a dare il suo contributo.
Tornerai, Vita.
Tornerai in tutto il tuo splendore
ad aprire le porte alla Luce.
Tornerai tra le strade
e colmerai le distanze.
Vinceranno gli abbracci che abbiamo mancato,
vinceranno le mani che non potevano toccare.
Vinceranno quei giorni,
che sembravano uguali,
vincerà ciò che abbiamo perso
e che non vedevamo.
Vincerai tu,
Vita,
e sarai più bella di sempre.
(Angelo De Pascalis)