Torna in libreria il giornalista Mario Liberto con un volume che racconta le vicende della storia della pasticceria siciliana, attraverso l’epopea delle monache di casa. Il libro è arricchito della storia e delle ricette di ben 32 dolci conventuali siciliani in parte scomparsi.
“Le monache di casa. Storia, aneddoti e curiosità dei dolci conventuali” è un invito a scoprire un patrimonio di sapori e tradizioni che rischia di scomparire. Un libro da leggere e da gustare, per assaporare la vera essenza della Sicilia, un viaggio affascinante alla scoperta di un mondo perduto, ma che ancora oggi vive nelle nostre tradizioni culinarie, ottimo per gli appassionati di storia, di cultura e di cucina.
Mario Liberto, in questa sua ricerca, riferisce le ultime testimonianze di un mondo che lentamente ha perduto il suo fascino e la sua teatralità, anche se qualcosa di tutto ciò, destinato a scomparire, rimane, talvolta senza che nemmeno tutti gli estimatori se ne avvedano.
Da secoli all’interno della Chiesa erano presenti delle pie donne che decidevano di sottomettersi ad una regola di pietà chiamate in diverse parti d’Italia col nome di begardi, beghine, bizzoche, tutte facenti parte di quell’esercito di pseudo consacrate che più genericamente veniva soprannominato monache di casa, in virtù non dello status di consacrazione verginale ma di voto privato in confessione.
Dopo l’Unità d’Italia (1860) le figure religiose soppresse dai monasteri andarono a rivitalizzare e a ingrossare le file delle esistenti monache di casa. Un esercito di suore, mortificate, strappate con forza dai conventi, un’intera vita con le loro cose, le ritualità, le preghiere, di colpo si ritrovarono sole, prive di sostentamento, senza un tetto dove dormire, una casa dove abitare.
Le più facoltose tornarono presso le loro famiglie aristocratiche; altre andarono a servizio presso la nascente borghesia; un numero elevato di consacrate tornarono alla vita laicale, pur mantenendo gli abiti talari del proprio ordine di appartenenza religioso, vivendo di elemosine o con attività di ducciere, cioè preparando i dolci per sposalizi e feste. Donne i cui abiti talari erano sempre impregnati di cannella, vaniglia, chiodi di garofano, suore, ancor prima della loro presenza, erano precedute dall’odore dei dolci che quotidianamente preparavano.
Ogni monastero aveva una sua specializzazione ed esercitava una sorta di monopolio, in questa maniera venivano meno anche i principi di concorrenza. Una cultura che è stata da sempre custodita al di là delle grate dei conventi. Abili mani di suore dalla fantasia e capacità celestiali hanno saputo creare, perfezionare, ingigantire le varie prelibatezze che sono a noi giunte dalla cultura dolciaria romana e arcaica, ma anche da quella araba, spagnola e borbonica. Analoga consuetudine era presente anche nei monasteri europei e americani, insomma, la dulceamina sacra imperava ovunque.
Lo sdoganamento dei dolci conventuali ad opera delle monache di casa contribuirà, oltre a far conoscere le leccornie alla classe subalterna, che ne diventerà la maggiore fruitrice, daranno vita ad una pasticceria reinventata e popolare.
Gran parte della pasticceria meridionale di derivazione conventuale, arte che per secoli ha saputo mantenere celate le sue ricette e le tecniche di preparazione, venne revisionata e arricchita dalla conoscenza e abilità dei pasticcieri svizzeri presenti nel Regno delle Due Sicilie.