Lunedì 4 Maggio siamo entrati nella Fase 2 dell’emergenza Covid-19, ossia quella della “convivenza” col nuovo Coronavirus. Oggi parleremo di questa nuova fase con il dottor Paolo Giuffrè, medico di Medicina Generale del territorio bagherese attualmente in servizio come titolare presso la Guardia Medica di Caccamo.
Dottore Giuffrè, da un punto di vista scientifico, in che modo il Governo ha potuto prendere la decisione di passare alla Fase 2?
“Ciò che ha consentito al Governo di affrontare questo passo sono stati da un lato il graduale e continuo calo dei ricoveri ospedalieri e nelle terapie intensive (dove, ricordiamo, sono destinati i pazienti più gravi), e la riduzione del famigerato R0. L’R0, ossia il “numero di riproduzione di base”, in sintesi, è una stima del numero di persone che un individuo infetto può contagiare: un R0 maggiore di 1 fa progredire l’epidemia (tanto più velocemente quanto più R0 è alto), mentre un R0 minore di 1 la fa regredire (anche in questo caso, quanto più R0 si avvicina a 0, tanto più velocemente l’epidemia regredirà). Al momento l’R0 medio italiano si attesta intorno a 0,8. Quanto più riusciamo a mantenere basso questo parametro, tanto più potremo garantire una Fase 2 in sicurezza.”
In assenza di un vaccino, quali strategie abbiamo per garantire una Fase 2 in sicurezza?
“Le regole valide per la Fase 1 non hanno una data di scadenza: un adeguato distanziamento sociale (cioè mantenersi ad almeno un metro di distanza, meglio due se possibile), una corretta e frequente igiene delle mani, il rispetto delle basilari norme di igiene (come tossire e starnutire nella piega del gomito o in un fazzoletto e non selvaggiamente a campo aperto). Il “mantra” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è riassumibile nelle “3 T”: Testing (ossia lo svolgimento dei tamponi), Tracing (il tracciamento dei contatti) e Treating (ossia la terapia). L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha sottolineato che occorrono anche l’uso dei dispositivi di protezione individuale (vale a dire le mascherine), l’isolamento mirato dei contagiati, la permanenza degli ospedali COVID-19 e lo sviluppo della medicina territoriale. Infine — ultimo ma non per importanza — va aggiunta la responsabilità dei comportamenti individuali.”
Potrebbe chiarirci le caratteristiche dei vari tipi di mascherine e il loro possibile impiego?
“In estrema sintesi, esistono due tipi di mascherine: le mascherine chirurgiche e i respiratori (i cosiddetti FFP2 o FFP3). Le mascherine chirurgiche non proteggono chi le indossa ma impediscono ad un individuo infetto di contagiare altre persone. I respiratori, invece, proteggono sia chi le indossa che gli altri (a patto che si indossino correttamente), e sono utili per i medici (per via dello stretto contatto con i pazienti) o per i soggetti immunocompromessi. Vanno invece assolutamente evitati i respiratori dotati di valvola, che proteggono solo chi la indossa e c’è il rischio concreto che possano contribuire ad infettare chi ci circonda.”
L’utilizzo delle mascherine può quindi rallentare la progressione della COVID-19?
“Sì, assolutamente. Vari modelli statistici hanno dimostrato che se l’80% della popolazione indossasse mascherine che siano almeno il 60% efficaci (e quelle chirurgiche lo sono), si potrebbe mantenere R0 ad un livello di sicurezza inferiore a 1. Approvo quindi la scelta del Governo di renderne obbligatorio l’utilizzo negli spazi pubblici: la Salute è un bene comune protetto dalla nostra Costituzione, e visto che basta così poco per garantirlo sarebbe da irresponsabili contravvenire a quest’obbligo.”
Che tipo di risposte possono darci i tamponi?
“L’esame del tampone ci consente di “scattare una fotografia” delle condizioni attuali del paziente, ovvero dirci se in quel momento è infetto o meno. Saperlo il più precocemente possibile ci consente di isolare con più efficacia il soggetto, impedendo la diffusione del virus: ricordo infatti che un soggetto positivo al tampone è obbligato all’isolamento finché non risulti negativo a due tamponi consecutivi (da effettuare non prima di due settimane). Appare inoltre chiaro che quanti più tamponi si riescano a effettuare nella popolazione, tanto più precisa sarà la stima dell’estensione del focolaio. Solo in questo modo sarà possibile disporre chiusure e limitazioni di aree sempre meno estese e non a tutto il territorio nazionale come nella Fase 1.”
Ha accennato all’isolamento dei casi positivi: come valuta la possibilità di istituire centri territoriali adibiti a questo scopo?
“La valuto molto positivamente. Il più recente rapporto dell’ISS evidenzia che quasi l’80% dei contagi è stato contratto nelle case di riposo (58,4%) o addirittura in ambito familiare (18,3%). Questa strategia prevede l’utilizzo di strutture non ospedaliere nelle quali ospitare e monitorare le condizioni di soggetti positivi con sintomi lievi o assenti o che non hanno più la necessità di stare in ospedale in quanto guariti. In questo modo si attende la negativizzazione dei tamponi senza il rischio di contagiare i familiari. A tale scopo nella provincia di Palermo è stato reso disponibile l’hotel San Paolo Palace, che nell’ultimo mese ha messo a disposizione della Regione Sicilia 150 delle 240 camere disponibili nella struttura.”
In che modo il tracciamento dei contatti (o “contact tracing”) può essere d’aiuto?
“Il tracciamento dei contatti serve a determinare l’origine del focolaio. Voglio innanzitutto fare una premessa: uno Stato che si dica democratico deve garantire sia il diritto alla Salute che quello alla privacy. L’uno non può essere derogabile per garantire l’altro. Ergo, un sistema di tracciamento che registri tutti gli spostamenti di una persona o, peggio, come avviene in Cina, che esponga praticamente a chiunque i parametri vitali delle persone che ti circondano (come la temperatura corporea) non è accettabile. Apple e Google, i due giganti americani della tecnologia, hanno unito le forze per dotare i loro sistemi operativi per cellulari (che insieme rappresentano la quasi totalità dei telefoni al mondo) di una funzionalità che consenta il tracciamento delle persone non tramite GPS (come i navigatori delle auto, per intenderci), ma col Bluetooth (un sistema molto più limitato e meno invasivo, che fa funzionare ad esempio gli auricolari senza filo).”
A tal proposito, cosa ne pensa di Immuni (l’applicazione scelta dal Governo italiano)?
“Tralasciando il fatto che mi sarei aspettato che fosse resa disponibile già dal 4 Maggio, va detto che se l’app non viene installata da almeno il 60% della popolazione o da almeno l’80% degli smartphone, il sistema rischia di non essere utile. Alla luce di quanto già detto prima, obbligare 36 milioni di persone a installarla o addirittura penalizzare un mancato utilizzo non sono strade percorribili (basti pensare che Facebook, ad esempio, è usata da “solo” 30 milioni di persone in Italia). Va quindi iniziata fin da subito una campagna di comunicazione senza precedenti esponendo con chiarezza e semplicità i vantaggi e il funzionamento. In caso di fallimento di questo “contact tracing 2.0” l’unica alternativa percorribile rimarrebbe quella di intervistare i soggetti risultati positivi per cercare di risalire a quanti più contatti possibili.”
Nel corso della pandemia diversi politici hanno più volte parlato di “patente d’immunità”: saprebbe chiarirci in cosa consiste?
“Una “patente d’immunità”, in base alle intenzioni dei politici di cui sopra, sarebbe una sorta di “lasciapassare” da rilasciare a quei soggetti nei quali i test sierologici hanno rilevato lo sviluppo di un’immunità stabile nei confronti del Coronavirus, in modo da consentire un reintegro sicuro nella società e nelle attività produttive e ampliare così le aperture. L’OMS, però, ci ammonisce di andarci piano. Allo stato attuale, infatti, sebbene esistano prove abbastanza certe che un individuo guarito dalla COVID-19 sviluppi una certa immunità nei confronti del nuovo Coronavirus (producendo cioè gli anticorpi specifici per individuarlo e contrastarlo in caso di un successivo incontro), non ci sono altrettante certezze sull’effettiva durata di tale immunità. Potrebbe essere inferiore ad un anno (come i virus del raffreddore o dell’influenza) o maggiore. Da questo punto di vista appare ancora più importante la scoperta di un vaccino sicuro ed efficace, da somministrare anche a cadenza annuale come già accade ad esempio per l’influenza.”
In conclusione, possiamo davvero definirci sicuri in questa nuova Fase 2?
“Ho il timore che questa nuova fase possa essere presa troppo alla leggera, soprattutto qui in Sicilia dove l’impegno sanitario è stato più mite che altrove. Le scene da “liberi tutti” che si sono viste ai Navigli a Milano non sono assolutamente accettabili. L’emergenza non è finita, il virus non è stato sconfitto (solo il vaccino può farlo), e per via delle mancanze cui facevo prima cenno (tamponi e tracciamento in primis), dovremo ancora fare affidamento sulla responsabilità dei singoli individui. L’Imperial College di Londra ha da poco pubblicato uno studio evidenziando come un ripristino di solo il 20% dei contatti che avevamo prima del “lockdown” potrebbe causare numeri peggiori (in termini di contagi e morti) di quelli che abbiamo sperimentato finora, soprattutto in quelle regioni colpite solo di striscio dalla COVID-19.
Ricordiamoci dei quasi 30.000 morti italiani (280.000 nel mondo) prima di parlare di libertà violate e di ritorno alla normalità, perché di “normale”, almeno per un po’, non ci sarà proprio nulla, e affermare il contrario è profondamente sciocco se non tremendamente irresponsabile. Dobbiamo tutti cooperare in modo che i sacrifici che abbiamo fatto finora non siano stati vani. In questo momento non c’è spazio per fare i furbi cercando di trovare il cavillo che ci permette di farci la passeggiata domenicale nel Corso. #andràtuttobene solo se ci comporteremo responsabilmente.”