Il 15 Maggio si è celebrata la Festa dell’Autonomia Siciliana; ovvero il 67esimo anniversario della nascita dello Statuto speciale, difatti il 15 maggio 1946 re Umberto II di Savoia ( il re di maggio) concedeva alla Sicilia l’autonomia speciale. La Festa è stata introdotta un paio di anni fa dal governo regionale allora guidato da Raffaele Lombardo. Ma tra i pochi che se ne saranno accorti vi sono gli studenti delle scuole siciliane che hanno beneficiato di un giorno di vacanza.
L’obiettivo è quello di recuperare nelle nuove generazioni il valore identitario, la memoria collettiva , il senso di una conquista storica. Forse, per il raggiungimento di questi obiettivi, sarebbe opportuno prevedere in occasione del 15 maggio una giornata interamente dedicata allo studio ed all’approfondimento dei temi legati all’autonomismo siciliano ed alle ragioni storiche che lo hanno determinato.
Ad onor del vero, la sensazione avvertita è che le ragioni del recupero del tema autonomistico sembrano risiedere nell’inaugurazione di una nuova stagione di rivendicazione prettamente di carattere economico-finanziario, di diritti sanciti dallo Statuto che si vuole celebrare e mai riconosciuti dallo Stato centrale. Una vicenda diremmo di sostanza e di sonante denaro.
Vi è una corrente di pensiero, molto rappresentata dalla stampa nazionale di marca settentrionale, che imputa ai siciliani di aver fatto in questi decenni un cattivo uso dello Statuto. Piuttosto che una leva e per lo sviluppo economico e la valorizzazione delle risorse è stato trasformato, a detta dei detrattori , da parte delle elites politiche e burocratiche, in uno strumento per la salvaguardia dei propri interessi specifici. Questo in ogni caso ha prodotto una pletorica macchina burocratica e l’attuazione di politiche economiche prettamente parassitarie ed assistenzialistiche che oggi mettono a serio rischio la tenuta e l’esistenza dell’istituzione regionale.
Oggi infatti a carico della Regione, in forma diretta e indiretta, vi sono: 14.291persone a tempo indeterminato, 5.455 a tempo determinato e 702 Lsu, in tutto 20.448 dipendenti. Poi vanno conteggiati 296 dipendenti dell’Assemblea regionale siciliana, 23.000 precari degli enti locali (ex art.23) 27.000 forestali, 10.000 dipendenti della formazione professionale, 3.000 P.I.P (Piani di Inserimento Professionali), 1.800 dipendenti della GESIP (Gestione Servizi Impianti Pubblici Palermo SpA); PIP e GESIP bacini precari creati dal Comune di Palermo e oggi a totale carico della Regione, 6.000 dipendenti delle società partecipate della Regionee per ultimi i 10.000 dipendenti degli ex ATO rifiutie i 6.500 dipendenti delle provincie soppresse e che in ogni caso devono continuare ad essere pagati e garantiti.
In definitiva qualcosa come un esercito di circa 105.000 dipendenti.
Un costo per i pagamenti degli stipendi che in una spesa regionale ingessata e appesantita dai debiti e mutui pregressi e minata dai mancati introiti di alcune imposte a causa della crisi economica, non sembra più sostenibile e che mette a serio rischio di fallimento la Regione Siciliana.
La classe politica siciliana che oggi celebra la festa dell’autonomia, sostiene invece che il paragone tra i dipendenti della regione siciliana e quelli delle regioni a statuto ordinario è improprio, dal momento che alla regione siciliana sono attribuite competenze supplementari rispetto alle altre regioni a statuto ordinario, a fronte delle maggiori tasse trattenute.
Ricordiamo che la Sicilia trattiene il 100% dell’IVA, dell’IRPEF, dell’IRES, delle imposte ipotecarie, delle imposte sul bollo e di registro, dell’imposta di consumo sulla energia elettrica, delle tasse sulle concessioni governative e delle imposte sulle donazioni.
In ogni caso il Governo Crocetta più che alla riduzione dei costi che comporterebbe una feroce macelleria sociale dovrebbe puntare a rinegoziare il patto finanziario con lo Stato. La madre di tutte le battaglie è la corretta e piena applicazione dell’art. 37 dello statuto del 1946, che recita così: “Per le imprese industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi. L’imposta relativa a detta quota compete alla Regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima”.
Da primi calcoli sommari il gettito delle sole imposte dirette e indirette che manca per la non applicazione di questo articolo non può essere inferiore ai 6 miliardi di euro l’anno, poca cosa rispetto ai 50 milioni di euro che l’Assessore Bianchi sembra abbia strappato al governo centrale per l’attuazione “provvisoria” di questo articolo per l’anno 2013 e che rimanda ad un ulteriore decreto attuativo.
Teniamo conto che per ben due volte si è tentato di dare attuazione all’art.37, la prima volta nell’art. 4 del decreto 1064/1965, risultato troppo generico, appunto, per essere operativo. La seconda volta nel 2005 con Giulio Tremonti Ministro dell’Economia. Ma non se ne fece di nuovo niente poiché, per le modalità di attuazione, quel decreto rimandava ad un altro decreto,(l’attuativo dell’attuativo dell’attuativo).
Che sia la volta buona, lo vedremo nei prossimi giorni e lo sperano non solo i vertici politici della Regione e quanti in forma diretta o indiretta sono a busta a paga della Regione ma soprattutto tutti i Siciliani, dal momento che da stime attendibili si calcola che circa il 60% dell’economia asfittica siciliana ruota intorno alle risorse pubbliche della Regione.
*Circolo del Megafono
“Autonomia, Partecipazione e Territorio”