Quando a lasciare il mondo della materia è un bambino, noi “grandi” o presunti tali, non abbiamo perso la battaglia ma la guerra. Ogni giorno, viviamo distanti dai nostri figli, ormai riflessi sullo specchio di un monitor o su uno schermo, abbandonati all’interno di una realtà virtuale, che trasforma il “momento” in lunghe ore di silenzio o meglio di assoluto mutismo.
Pensare di compiere l’insano gesto, dimostra che certe volte, si vivono mali più grandi della morte stessa. Come può, tutto ciò , realmente concretizzarsi in un bambino di 13 anni? Grandi filosofi, hanno dibattuto sul significato della vita se la stessa, vale o meno di essere vissuta, il suicidio sembra paradossalmente concedere a loro la risposta.
Siamo sempre più isolati, delusi dalla conoscenza degli altri o di ciò che gli altri ci permettono di conoscere di loro; la bontà di un ragazzo è vista dai leoni senza denti, come una sorta di debolezza, la compassione assume le sembianze di viltà, vivendo nell’indifferenza della collettività, che solo dietro una tastiera, riesce ad esprime un pensiero.
All’interno del mondo virtuale, i giovani vivono l’amicizia in maniera transitoria, tenendo in considerazione più la quantità degli amici che la loro qualità. Si parla di bullismo, che, nella sua complessità assume diverse sfaccettature, ma che ha in sé il mostro distruttore chiamato intolleranza, qualunque forma essa assuma, dall’orientamento sessuale al sovrappeso, in buona sostanza tutto ciò che è diverso. Un mostro che colpisce e non lascia lividi nel corpo ma profondi solchi nell’anima.
Ma probabilmente, il vaccino per questa malattia sta proprio nella diversità. Non indossare abiti per conformarsi alla massa, non utilizzare alcool e droghe per essere come loro, essere diversi per essere unici, coltivare in noi il seme della libertà, cercando proprio nella diversità la bellezza di ogni essere umano e perchè no, la bellezza della vita.
In fondo, la violenza degli oppressori è spesso un rifugio da loro stessi che non accettandosi, proiettano negli altri la propria insicurezza. Denunciare atti di bullismo non è semplice, ma è l’unica soluzione, e chi sta vicino a soggetti che ne sono vittima, non può vivere in una forma di apatia morale, ma ha l’obbligo di denunciare, perché l’indifferenza ha più peso della stessa violenza.
“Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi; è l’indifferenza dei buoni”.