Giovanni Falcone affermava: “Se vogliamo combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro.
Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia” Ma è la cultura siciliana che somiglia alla cultura mafiosa o viceversa? Sono i mafiosi che assomigliano ai siciliani e non viceversa. Ciò era chiaro a Giovanni Falcone, che ancora sosteneva: “La Sicilia ha fatto del clientelismo una regola di vita […]. La mafia esprime sempre l’esasperazione dei valori siciliani, così finisce con il fare apparire come un favore quello che è il diritto di ogni cittadino”.
Il clientelismo dunque prima di essere una manifestazione mafiosa è un modo di pensare i rapporti tra pubblico e privato diffuso in Sicilia. Potremmo menzionare innumerevoli esempi di lavori socialmente utili e inutili, serbatoi di voti, favori e promesse.
La vicenda delle minacce di morte a Patrizio Cinque ed all’assessore Atanasio é una vicenda tipicamente siciliana più che mafiosa; fa parte della sottocultura minacciosa a cui siamo abituati da sempre.
Io nell’episodio in questione, ad essere sincero, non vedo la mafia; piuttosto vedo la disperazione e l’esasperazione che si traduce spesso, sempre da noi e nel nostro substrato culturale, in atti delinquenziali a volte puramente rabbiosi, a volte dimostrativi, a volte reali.
Parlare di questa vicenda in modo libero e in questo momento, a Bagheria, é come camminare su un terreno pieno zeppo di mine antiuomo. Rimangono visibili finchè sei concentrato e fai dei passi misurati, non appena un bagliore ti distrae rischi di saltare per aria. Io cercherò di camminare in punta di piedi e con gli occhi ben aperti. Sgombriamo subito il terreno torbido dell’incertezza: io sto con Patrizio; così come starei con Luca, Francesco, Giovanni, Filippo, insomma con chiunque venga minacciato di morte o venga offeso con violenza anche solo verbale. Capitolo aperto ed immediatamente chiuso, mi auguro in maniera esaustiva. Detto ciò, permettetemi senza correre il rischio di esser fatto fuori da un cecchino del blog, di fare una riflessione: le minacce al Sindaco di Bagheria, a mio avviso, non sono il frutto di una politica rivoluzionaria operata dallo stesso, ma sono il frutto di una incapacità politica, di una sconfitta dell’istituzione. L’opinione pubblica è ormai convinta che tutti e sottolineo tutti i dipendenti del Coinres siano delinquenti, nullafacenti, ladri e farabutti.
Bé, questa generalizzazione, questa leggerezza nel dare giudizi che riguardano degli esseri umani non mi piace affatto; anzi la trovo insopportabile. Trovo insopportabile pensare che molti di loro non potranno portare più ai loro figli un pezzo di pane, per colpa di altri “colleghi” che hanno operato in maniera a dir poco vergognosa.
È insopportabile constatare che la quasi totalità dei partecipanti al corteo “nessuno tocchi Patrizio” non abbia mosso un solo dito mignolo quando il Sindaco Lo Meo non è stato minacciato, bensì è stato aggredito fisicamente. È ancora inaccettabile che siano sempre i più deboli a pagare.
Sì, avete capito benissimo, sono i più deboli. Se vogliamo sconfiggere questo sistema dobbiamo avere il CORAGGIO di combattere i poteri forti. Andiamo a vedere il percorso di assunzione di ogni singolo dipendente e cerchiamo di andare alla base del problema; bussiamo con veemenza alla porta di chi ne é stato l’artefice. È risaputo che molti lavori da noi si ottengono grazie al voto di scambio o a promesse mai mantenute o col ricatto del lavoro. De André in uno dei suoi ultimi concerti in Calabria affermò provocatoriamente che la ‘ndrangheta dava più lavoro dello Stato. È esattamente quello che da noi succede da sempre.
Oggi i lavoratori del Coinres sono soli, abbandonati dai politici che li hanno sfruttati, scaricati oggi forse pure dalla mafia che non sa che farsene, allontanati dai cittadini che vedono in loro il male assoluto e dalle Istituzioni che non vedono l’ora di sbarazzarsene. È compito delle istituzioni instaurare un dialogo con tutti i cittadini anche con i “peggiori” e sanzionare, licenziare, allontanare tutti coloro che non fanno il proprio dovere o nuocciono alla società. Bisogna far rispettare le regole, tutte ed a tutti.
Il 15 settembre é una data abituata ad ospitare fiaccolate di solidarietà. Il 15 settembre del 1993, esattamente 21 anni fa moriva un grande eroe che riuscì a scalfire la mentalità mafiosa con grande umiltà. Don Pino Puglisi colpì la mafia con la potente arma dell’accoglienza.
Ebbe il grande merito di capire che il dialogo è l’unica fonte di legalità. L’importanza delle istituzioni, della funzione educatrice della scuola e delle infrastrutture culturali rappresentò il punto nodale dell’impegno umano, sociale e religioso di Don Puglisi. Oggi non abbiamo bisogno di eroi, oggi abbiamo bisogno di tornare a guardarci negli occhi senza odiarci.
*coordinatore cittadino di Sel Bagheria