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venerdì 22 Novembre 2024

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I pensieri e le riflessioni quando si è soli

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padre figlio
toti damico
di Toti D’Amico
4 minuti

Sono stati tanti in quei giorni, che un libro non potrebbe contenerli tutti e, come al solito, li ho trascritti fra i miei appunti.

Uno in particolare mi è rimasto in mente e oggi, liberata la mente da funerei presagi e ritrovata una certa serenità, mi è tornato un senso di malinconia, nato in quei giorni.

Pensato e scritto il 15 maggio:

A chi, orfano da decenni come me, in questo periodo di forzata clausura, negli innumerevoli momenti di solitudine, non è venuto alla mente il volto o un’espressione dei propri genitori?

A me sinceramente è successo molto spesso, tanti e lunghi sono stati questi ‘momenti’.

Stranamente, il mio pensiero è andato soprattutto a don Totò, papà mio, l’uomo più importante della mia vita, il personaggio che io, bambino di cinque o sei anni, cercavo di imitare e alla cui manona sempre mi aggrappavo, sentendomi sicuro e inattaccabile.

Una mia zia, una volta mi raccontò che negli anni venti papà visse un difficile momento: erano gli anni dopo la prima guerra e allora non era evento raro che qualcuno fosse colpito da una brutta e pericolosa malattia, il tifo. E io me lo sono immaginato papà, ai nostri giorni e nella nostra stessa situazione, reagire come fece allora, quando fu anche in pericolo di vita.

Fortunatamente, riuscì a superare, faticosamente mi raccontò mia zia, quella situazione, forse anche perché era scritto che dopo circa trent’anni avrebbe contribuito… alla mia nascita.

“Papà!” negli anni cinquanta e sessanta l’avrò gridato centinaia, migliaia e migliaia di volte, fino all’ultima… quel settembre 1971, quando lo trovai per terra in casa con le mani poggiate sopra al petto, con l’espressione serena di chi aveva finalmente raggiunto la sua tanto agognata ultima meta, la sua Renza, salita al cielo un anno prima.

Dopo qualche anno, un altro papà c’è stato nella mia vita, mio suocero. Non ho avuto problemi a chiamarlo “papà” e grande fu il dolore che provai quando nel 2000 ci lasciò.

Da allora la parola ‘papà’ non è più uscita dalla mia bocca e così, ammetto, tanto è stato il desiderio, anzi il bisogno e il piacere di dire “papà”, in questo periodo, flagellato dal ‘covid19’, che ho pensato di trovarmene uno.

E, per puro caso, l’uomo, il personaggio che avevo identificato come papà, oggi in lontananza, mi è apparso sul marciapiede di Corso Umberto, mentre camminava lentamente, appoggiandosi al suo bastone.

Non lo vedevo dai primissimi giorni di marzo e, quando l’ho raggiunto, l’ho guardato negli occhi, gli ho dato un colpetto di gomito sul braccio e gli ho detto: “Ho preso una decisione…

da oggi ci diamo del tu, finiu zù Austinu e zù Totò, io sono Totò e tu papà Agostino, d’accordo?” Forse l’ho preso un po’ alla sprovvista ma, dopo un attimo di indecisione, mi ha risposto: “Sta bene… Totò”.

Ai tempi del coronavirus un altro… Papà.

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