C’era na vuota u vicinatu, eramu tutti parienti e non importava la sanguinità. Ci si aiutava a vicenda anche nelle situazioni più dolorose e ci si scambiava cibo a tignitè. I suppieri ri babbaluci facievanu u doppiu giru, tantu ca ti ritruvavi a casa con un’altra pietanza cucinata dalla vicina.
C’eranu i jorna assignati. U vienniri c’era pisci e cacuocciuli, u mercoledi milincianieddi abbuttunati, u lunniri era il giorno più triste della settimana: t’avievi a manciari pi fuoizza i cosi ra ruminica. Per le feste comandate c’era u via vai ri suppieri, tantu ca me matri a fini juinnata avieva tutta a ruttami fuori casa. Capitava puru ca a me metri un ci n’attucava, ma lei era felice perchè la vicina di casa l’avieva tastatu e ci facieva i complimenti: “bellissimo davvero, ma cosi i l’avutru munnu”!
Si ricieva che il vicinanzo era mezza parintiela. Ma chisti su cosi antichi. Ricordo i genti anziani e la loro riservatezza, ricordo pure la sparrittiera di turno che ficcava il naso sulla spesa della vicina. E se c’era un problema per una famiglia, diventava il problema di tutto il quartiere. Nzamaddiu ti trovavi in ospedale! In quel momento si scatenava una sorta di solidarietà incredibile, dove c’era la vicina che ti aiutava a preparare il pranzo pu spitali, l’altra che stirava, un’altra ancora che sistemava la casa. Non ci si annoiava mai a casa mia, c’era un via vai di cristiani, tantu ca me patri esclamava sempre: “è chi è a casa o sinnacu”. Era veramente un punto di riferimento per tutti e anche loro erano per noi una famigghia.
I vicinati, a quei tempi, eranu accussì.
A fine siivvizza ci sedevamo tutti fuori con le sigitedde e ci raccontavamo le fattelle della giornata. Noi mangiavamo e poi giocavamo per strada dove, ogni tanto, la vicina più monella ti tirava l’acqua. Quella che, se non smettevi di giocare, ti colpiva con tutta la sua potenza quasi a scricchiarti la testa. Ed io la ricordo al suo balcone, all’inizio ci sorrideva e poi, con fare perverso, afferrava il catino chinu chinu d’acqua e lo tirava addosso, alle volte la signora tirava pure il catino vuoto. Noi divertiti correvamo verso lo scaro, stando attenti perchè al ritorno l’avremmo trovata sicuramente nascosta dietro la sua persiana verde. Ma puru per i vicini c’è un detto antico, statemi a sentire. Aviti a sapiri che da una parte all’altra della Sicilia si trovano infinite varianti dei vari detti, ma a sustanza un cancia. Sti modi di dire sono fonte di cunsigghi in ogni occasione della nostra vita, ma si rici (riguardo ai consigli) “tutti pigghiali ma u tua u nu lassari”.
U pruverbiu adattu alla riscussione di oggi riguarda un argomento nturciunatu: i rapporti di vicinatu. Quantu vuoti vi sciarriate con i vicini? Piccoli battibecchi: i bambini che giocano facendo dei schiamazzi, pi l’acqua, pu scrusciu ru muturi, pa musica partenopea atturrari. E’ sempri na camurria sta cugnintura! Può capitare che alli vuoti i vicini di casa sono un po’ troppo curiosi e si impicciano degli affari tuoi. A tal proposito c’è un proverbio siciliano che è dedicato a tutti quei vicini che non ti calano ( che non ti scendono giù dal cannarozzo, tradotto in lingua italiana): “ci vuòli l’agghia pi vicini”. Pi capillu dobbiamo partire dalla traduzione: “ci vuole l’aglio per i vicini”. Ora capiremo cosa vuole dire. Quando u vicinatu è troppo curiusu e mmiriusu, bisogna tenerlo lontano con l’aglio. Si cunta che nelle credenze popolari, l’aglio avrebbe tanti poteri, uno tra tanti quello di allontanare u maluocchiu. Il malocchio sarebbe il male addisiato da persone cattive.
Ecco svelato il mistero, perché nei balconi e davanti alle porte c’è l’usanza di tenere appese le trecce d’aglio, proprio pi proteggere la famigghia dai poteri occulti di questi vicini alquanto camurrusi. Pi steinnata finiu e chiddu chi voli Diu!
Anna Citta è una docente di Lingua e Letteratura Inglese. Vive a Porticello, un piccolo borgo marinaro. Ha due grandi passioni: il mare e il dialetto siciliano. Da circa 10 anni Si interessa di tradizioni popolari e di detti tipici del nostro dialetto, usi e costumi, proverbi e altro. Il suo è uno studio senza fine, una grande passione che coltiva nel tempo libero. Pensa che studiare una lingua sia il modo giusto per entrare nella vita della gente, per capire i sentimenti di un popolo e il loro modo d’essere, per sentirne gli odori, i sapori e conoscere il dolore della gente. Per questo ama la Sicilia e la sua sicilianità.