Peri peri pu paisi vado racimolando pani pi me rienti. Chi veni a diri? Voglio dire che è in mezzo alla gente che nascono la mia indagine linguistica e questa mia raccolta di storie.
“A jaddina chi camina s’arricuògghi ca vuozza china” si dice accussì dalle nostre banne. E io di galline e gallinelle sugnu china china ntiesta. L’altra volta ntisi a una picciutta che diceva ad un amico questo detto: “Trunzu i malafiura”. Chi cos’è u trunzu? U trunzu in italiano è il torsolo di frutto, il fusto del carciofo, la parte sottostante del broccolo appunto il fusto anch’esso. Con Tronzo di malafiura si intende parlare di qualcuno che fa una brutta figura davanti agli altri, cioè di persona che davanti agli agli risulta come un torsolo di frutto in un equilibrio precario. Una presa in giro bella e buona, uno sfottò che fa anche sorridere. La lingua siciliana è china di modi di dire, e strata strata ne senti di tutti i colori. La parola “trunzu” deriva dallo spagnolo “trompicar”, che significa “inciampare” e si riferisce proprio al fusto. Viene usata come forma di spregio, col significato anche di testa di rapa o di persona che non conclude mai niente. Un trunzu misu additta senza significato specifico. Questo epiteto viene sempre usato come modo poco carino.
Ma possiamo anche sentire in giro la frase: “arristau comu un trunzu” nel senso che sono rimasto a mani vuote, cioè rimanere fermo e inerte, insomma lassato in tredici. Ma alle volte noi siciliani ci sentiamo “pa priessa”, abbiamo uno stato d’animo appesantito, spesso dopo avere passato una giornata pesante di lavoro o magari dopo un dispiacere improvviso. Ci sentiamo senza forze e non abbiamo voglia di fare nulla. Semu pigghiati ra buotta. Semu puru “allallati” dicesi di individui poco attivi mentalmente che mostrano uno stato di passività mentale e nelle azioni, dovuto a conseguenze che non hanno a che fare con il mondo reale ma sembrano presi da uno stato di estasi. L’allallatu viene definito come un cretino, persona su cui non puoi contare.
E per finire c’è u “lagnusu”. Chi è il lagnusu in Sicilia? E’ una forma di parassita che si sta tutto il giorno seduto senza fare nulla, disteso su un divano tanto da entrare in simbiosi con gli arredi della casa, addirittura fondendosi con essi. Ci aveva visto bene Leonardo Sciascia in “Occhio di capra” forse la più agile e acuta introduzione alla civiltà siciliana, e soprattutto in un modo di dire siciliano, un ritornello, che recita: ‘O santa lagnusìa, ‘un m’ abbannunari ca mancu spieru abbannunari a tia’. Ovvero ‘O santa pigrizia non mi abbandonare che io pure spero non abbandonarti’.
Nel dialetto siciliano pigro si dice lagnusu, ossia qualcuno che si lagna, che si compiange senza soluzione di continuità, e che fa di questa lagnanza una specie di litania, un sottofondo musicale che lo accompagna per tutta la vita. Semu accussì, c’è picca i fari!
Baciamu li manu!
Anna Citta è una docente di Lingua e Letteratura Inglese. Vive a Porticello, un piccolo borgo marinaro. Ha due grandi passioni: il mare e il dialetto siciliano. Da circa 10 anni Si interessa di tradizioni popolari e di detti tipici del nostro dialetto, usi e costumi, proverbi e altro. Il suo è uno studio senza fine, una grande passione che coltiva nel tempo libero. Pensa che studiare una lingua sia il modo giusto per entrare nella vita della gente, per capire i sentimenti di un popolo e il loro modo d’essere, per sentirne gli odori, i sapori e conoscere il dolore della gente. Per questo ama la Sicilia e la sua sicilianità.