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venerdì 22 Novembre 2024

venerdì 22 Novembre 2024

I cunti di Sicilia. “Biatu l’uòcchiu ca vìri a Pasqua” di Anna Citta

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anna citta
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6 minuti

Il modo di dire di oggi è: “Biatu l’uòcchiu ca vìri a Pasqua“. Un detto molto comune in Sicilia, ma quanti di voi u canuscièvanu? A questo detto potremmo dare varie interpretazioni. Il principale significato, quello più evidente, è che nei tempi antichi beati erano coloro che arrivavano vivi e felici alla nuova Pasqua.

I detti nascono dalla bocca della gente e chissà, magari la vita era sempre piena di stenti e sofferenze. Altra interpretazione potrebbe essere: ‘beato colui che vede Pasqua’ ossia che vede una donna desiderata e finalmente la incontra all’improvviso e pronuncia questa frase. O di qualcuno che incontra un vecchio amico che non vedeva da tempo. Ricorderemo un altro detto che riguarda la Pasqua: ‘Cu n’appi n’appi Cassatelli ri Pasqua!’ Avrete sicuramente sentito dire questo proverbio almeno una volta nella vita. Si tratta di un tipico modo di dire della Sicilia, che si ricollega in particolare alle festività pasquali e a un su celebre dolce. Ancuora n’avutra vuota si parra sempre di manciari, un tema assai caro a noi siciliani. Spesso nei proverbi antichi troviamo delle metafore legate alla gastronomia o ai nostri comportamenti e modi di fare a tavola.

Per capire il modo di dire, dobbiamo naturalmente partire da una traduzione: “Chi ne ha avuto, ne ha avuto, delle Cassatelle di Pasqua!”. Questo proverbio siciliano ci ricorda che, una volta che è avvenuta una spartizione, c’è poco da fare. A ognuno rimane proprio ciò che gli è toccato in sorte. Non può ricevere altro, tutto quello che c’era da ripartire è stato dato. Ma sicuramente vuole dire anche che quaiccunu arristò senza niente, ossia a manu vacanti. “Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua!” Altro detto molto conosciuto che riguarda la Pasqua. Tradotto significa “povero è colui che non mangia la cassata il giorno di Pasqua”, così racconta un proverbio siciliano facendo notare subito che la Cassata siciliana è nata come dolce tipico pasquale, ma che adesso si mancia tuttu l’annu. A paruola ‘tintu’ può assumere significati diversi a seconda del contesto: viene inteso come “cattivo” o “monello”, ma significa anche “meschino” o “poveretto”. Questo modo di dire ci ricorda che la Cassata è un dolce che non può mancare nelle tavole siciliane, soprattutto a Pasqua. Si tratta del dolce più conosciuto della pasticceria siciliana che celebra la fine delle ristrettezze pasquali e la Resurrezione di Cristo. Un fatto certo è che non tutti i cristiani, nei tempi antichi, potevano permettersi la cassata, ma mancu potevano permettersi la carne. Si aspettava la pasqua per poter mangiare qualcosa ri duci. Ricordo sempre una storia antica cuntata da un anziano pescatore. Un po’ mi faceva ridere, ma dietro c’era tanta fame e stenti, avevo sentimenti contrastanti. U fattu è chistu statemi a sentire. C’era una famigghia di pescatori che durante il giorno di Pasqua accattaru finalmente, per la gioia dei bambini, una bella cassata china di frutta candita. Vineva u cori! Puteva essiri quasi 2 chili ma la famigghia era numerosa e per loro ci bastava, almeno un pizzuddu l’unu. Fu così che all’improvviso alcuni parenti decisero di venire a fare gli auguri, pari ca u sapièvanu, proprio nel momento del taglio della cassata. Appena li videro da lontanto che arrivavano si chiusero il cancello e senza fargliene accorgere si chiusero in casa e si nascosero, il capo famiglia disse ai piccoli di stare muti, guai a cu parrava! I parenti guardavano da fuori, c’era una finestra vicino al cancelletto ma non videro nessuno. Si erano nascosti tutti sotto il tavolo cu tutta a cassata. Come andò a finire? Ca a cassata ci sciddicò ntierra e la gustarono i bambini, felici con i nasini sporchi e le funce piene di ricotta. La loro unica colpa fu la fame e la vita dura. Ma picchì dovevano spartire un dolce così prelibato chi parienti ri parienti ca a iddi un ci vinievanu nienti? Cose d’altri tempi! E finiu buona pi steinnata. Baciamu li manu!

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