Se dovessimo definire i siciliani con un aggettivo mi vien da dire: “manciatari”. Da sempre i pranzi, le cerimonie, i festeggiamenti di un evento speciale ci tengono incollati per ore e ore intorno a tavolate imbandite di ogni ben di Dio. Spesso in questi pranzi sontuosi tra amici e parenti ognuno porta per tutti delle buone pietanze e non ci sono interruzioni temporali perché il pranzo finisce là dove inizia la cena e chiddu c’arriesta si mancia il giorno dopo. E quando tutto finisce soddisfatti e chini pronunciamo questo detto: “agneddu e sucu e finiu u vattiu”.
Ma dove nasce questo modo di dire? Era tradizione che, per il battesimo del proprio figlio, nelle famiglie benestanti dei normanni, si organizzassero grandi pranzi, cosa che ancora oggi è usanza tra noi siciliani. I loro pranzi per il battesimo duravano anche giorni e più il banchetto era sontuoso, più si pensava che la vita del bimbo sarebbe stata ricca e fortunata. Allora era usanza che, al termine di quei pranzi infiniti, ci fosse sempre l’agnello al sugo che era simbolo di salute e prosperità. Il banchetto del battesimo veniva chiuso con questo agnello al sugo. Ecco da dove ha origine questo detto. “agneddu e sucu e finiu u vattiu”. La traduzione: “Agnello al sugo ed è finito il battesimo“. Si utilizza per indicare la fine di una festa, di un evento o di qualsiasi altra cosa che abbia visto partecipare più persone. Può anche riferirsi a progetti che non abbiano dato i risultati sperati, nonostante ci si sia impegnati al massimo. Ancora una volta una tipica espressione siciliana ci offre la possibilità di conoscere meglio la storia della nostra isola.
Ci sono comportamenti e abitudini a tavola che solo chi vive dalle nostre parti può capire. Non fraintendetemi: voglio dire che alcuni comportamenti possono sembrare strani a chi non è siciliano, mentre sono del tutto normali per chi vive in Sicilia. In Sicilia la domanda ricorrente a tavola è: “Manciasti? Ti piaciu? Ti saziasti?” Questo serve innanzitutto per capire se l’ospite ha gradito il pranzo, è un invito a mangiare ancora qualcosa, anche se si è già pieni o se si è appena terminato un pasto abbondante. Non ti puoi permettere di essere a dieta o vegetariano. Ti talianu cu l’uòcchi tuòitti. In Sicilia è sempre possibile aggiungere un posto a tavola, ci trasiemu tutti. E poi come si dice dalle nostre banne: “capi a casa quantu voli u patruni”. Ci si stringe e, a tavola, si entra tutti. E quannu, senzamaddiu, arrivano ospiti improvvisi la padrona di casa ti dice: “nzuoccu c’è ti rugnu”. Unn’è bieru! Non vuole dire che si mangerà poco, perché le abili mani siciliane sanno preparare interi manicaretti con pochissimo. E poi non dimentichiamo che siamo quelli delle nisciute notturne per i cornetti, soprattutto quando ci sono eventi sismici; insomma cu tirrimuotu non pensiamo a sopravvivere ma a manciari. Nelle nostre case u pani unn’avi a mancari mai. Nzamaddiu di notte ci viene fame! E per finire l’elenco non dimentichiamo l’organizzazione giornaliera dei pasti. Dopo ogni pasto stabiliamo a panza china cosa mangiare nel pasto successivo. Semu manciatari, c’è picca i fari! S’abbinirica! To be continued…
Anna Citta è una docente di Lingua e Letteratura Inglese. Vive a Porticello, un piccolo borgo marinaro. Ha due grandi passioni: il mare e il dialetto siciliano. Da circa 10 anni Si interessa di tradizioni popolari e di detti tipici del nostro dialetto, usi e costumi, proverbi e altro. Il suo è uno studio senza fine, una grande passione che coltiva nel tempo libero. Pensa che studiare una lingua sia il modo giusto per entrare nella vita della gente, per capire i sentimenti di un popolo e il loro modo d’essere, per sentirne gli odori, i sapori e conoscere il dolore della gente. Per questo ama la Sicilia e la sua sicilianità.