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venerdì 22 Novembre 2024

venerdì 22 Novembre 2024

I cunti di Sicilia. “A festa ri morti” di Anna Citta

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Cannistru
5 minuti

“Animi santi, animi santi, io sugnu una e vuatri siti tanti; mentri sugnu nta stu munnu di guai cosi di morti mittitiminni assai”. Ripitevu sta frasi nella notte tra l’uno e il due novembre. E chi ièramu priati io e mia sorella! Liccusi e curiose aspettavamo questo giorno. Ma era il giorno del due novembre che trovavamo u cannistru sutta u liettu. Mi piacièva il mistero di questa nottata.

Correvo su e giù a spiare da dietro la porta. Mia madre mi diceva che quella notte sarebbero venuti tutti i defunti cari, insomma ni vinievanu a fari visita e non venivano a manu vacanti. Portavano doni a li picciriddi. E chi eranu sti doni? Purtavanu giocattoli, paste di miele, frutta di martorana di vario colore, frutti diversi ma tutti dello stesso sapore. Ma a mia mi piacevano le castagne, non so se era ddu culuri marrone scuro, come la terra che calpestiamo. A pupa i zuccaru di vari modelli ma chidda ru paladino era la più gettonata. I pupi ri zuccaru erano statuette in zucchero dipinte con svariati colori. Ritraevano figure tradizionale come i Paladini e venivano chiamati i pupaccena per via di una leggenda che narra di un nobile arabo caduto in miseria, che li offrì ai suoi ospiti per sopperire alla mancanza di cibo prelibato. Cuminciava io dalla testa, u decapitava, un senso macabro del mio essere bambina. Picciridda nica nica, eru priata quannu spalancando gli occhioni truvava i pipatielli e i taralli, i crozzi i muòittu e i totò ca eranu bianchi e marroni. Frutta secca un mancava mai, ma nuatri, le picciridde, la scartavamo preferendo i fruttini di martorana. Un ciavuru si spandeva per la stanza e alle sei di mattina mi mettevo con la testa all’ingiù dal letto, rischiando di cadere a facci ntierra. I miei riccioli dorati scendevano giù a cascata, u sangu mi arrivava fino in testa. La curiosità e a manciunaria mi facevano compagnia. Era un’età strana, eru sempri cuntenta aggaibbata. Io lo sapevo che mia madre comprava l’occorrente dallo zio Larienzu, prendeva anche i melograni, castagne e noccioline. Un mancava niente, a fine giornata ni carievanu i rienti. Era molto sentita questa festa, si rici che è una festa antica che risale al decimo secolo. Ma di tradizioni antiche ne abbiamo assai qui in Sicilia. Ora un si usa chiù come prima fare questi doni, ma me matri, puru ca sugnu ranni, continua a fare questi cannistri ai miei figli e la cosa mi piace assai. Ci ricu: “dormite ca stanotti vengono i morti a purtarivi i panari chi cosi ruci”. Iddi ridono un pochino e mi rispunninu: “ma nni pigghi pi fissa”? U sannu chi è il mandante, lo sapevo anche io, ma mi piaceva pensare a questa cosa delle persone care che non c’erano più e che per una sera venivano a trovarmi per un saluto. Forse era un senso di speranza, forse mi piaceva immaginare questo evento così sovrannaturale. A vita è tuttu un mistero, ma io ci voglio credere ancora alle cose ca mi nzignaru.
Baciamu li manu!

Anna Citta è una docente di Lingua e Letteratura Inglese. Vive a Porticello, un piccolo borgo marinaro. Ha due grandi passioni: il mare e il dialetto siciliano. Da circa 10 anni Si interessa di tradizioni popolari e di detti tipici del nostro dialetto, usi e costumi, proverbi e altro. Il suo è uno studio senza fine, una grande passione che coltiva nel tempo libero. Pensa che studiare una lingua sia il modo giusto per entrare nella vita della gente, per capire i sentimenti di un popolo e il loro modo d’essere, per sentirne gli odori, i sapori e conoscere il dolore della gente. Per questo ama la Sicilia e la sua sicilianità.

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