di Maria Laura Maggiore
Ho letto e ascoltato spesso in questi anni commenti relativi al Partito Democratico.
Un partito che, a detta di molti, non è mai realmente nato a causa della ”fusione a freddo” tra due componenti che avevano storie e visioni sul mondo e sui problemi della gente forse fin troppo diverse. E dal 2007, anno di nascita del PD, che io e molti altri ragazzi “nativi del PD” ci siamo battuti difendendo l’idea che il PD potesse realmente rappresentare la svolta per il Paese.
E siamo stati delusi, sono stata delusa.
Avevamo ed ho creduto che il Partito Democratico, con la sua classe dirigente, potesse dare quell’imprinting riformista che consentisse, a partire dai territori, di scuotere le coscienze, fare massa critica, affermare il primato dell’etica, essere un partito realmente trasparente che facesse emergere anche le responsabilità dei suoi quadri dirigenti che facesse denuncia, come allora ebbe il coraggio di fare Pio La Torre, legalitario, come quello di Piersanti Mattarella, inclusivo ed ecologista.
Un Partito che interpretasse le istanze della gente, le trasformasse in atti deliberativi e che, nel rispetto dei principi di buon governo, decidesse di schierarsi dalla parte dei più deboli aggredendo le sacche di potere lobbistico che spesso si tutelano.
Un Partito che facesse tesoro della storia da cui proviene, che valorizzasse le persone più dei gruppi rappresentati dai “deputati di riferimento” e che decidesse per sé, perché se la politica ha ancora un senso è rappresentato da quell’Arte di Cambiare il mondo ed indirizzarlo verso quell’Equità e quella Solidarietà di cui i cittadini hanno bisogno.
Doveva essere il Partito che anteponesse il NOI all’IO perché solo col NOI si va avanti.
Perché è dal popolo e dai suoi bisogni che devono essere elaborate, sintetizzate ed indirizzate le tue scelte anche, a volte, a costo di rinunciare alle legittime aspirazioni ed ambizioni personali.
Ecco perché a Gennaio del 2011, dopo un duro ed intenso percorso nell’Organizzazione Giovanile ed in altri organi di partito, ho accettato la sfida di candidarmi alla segreteria del PD di Bagheria.
Un partito lacerato e diviso da anni che non aveva più né un’Anima né progetti condivisi.
Ne sono seguite battaglie interne aspre e dure, anche fatte di colpi bassi ed attacchi personali, che hanno fatto veramente anche perché erano immeritati.
Nonostante tutto, sulla scia della volontà di ricompattamento del Partito Democratico, ho scelto d non mollare nonostante soffrissi parecchio e abbia versato tantissime lacrime per la cecità di chi anteponeva la scadenza elettorale alle sorti del Partito e della Collettività.
Sono andata avanti sempre con la testa alta perché era più forte in me quella spinta spasmodica di cambiare le cose per il bene della mia città e per pacificare il PD.
È stato un lavoro duro e massacrante perché, quando ci sono pensieri contrapposti e vecchi rancori, riuscire nell’opera di tensione verso l’Unità è molto complesso.
In questo il gruppo dirigente locale è stato abile forse anche grazie ad un meccanismo di cogestione.
Mi è stata da più parti chiesta la ricandidatura alla segreteria del PD e ringrazio sentitamente i dirigenti locali e chi, tra i parlamentari regionali e nazionali, ha insistito fino a ieri mattina affinché continuasse il mio impegno alla guida del Partito Democratico a Bagheria.
Ma impegno vuol dire dedizione.
Vuol dire credere ancora in un progetto in cui, dopo le larghe intese, non credo più.
Vuol dire, almeno per me, attivismo vero non mera indicazione negli organismi di partito per aggiungere qualche stelletta nel proprio curriculum politico.
Vuol dire prendere delle decisioni chiare e portarle avanti a testa alta senza vergognarsi del fatto che poi alcuni se ne defileranno.
Vuol dire collaborazione.
Vuol dire anteporre quel NOI all’IO.
Vuol dire predisporre progetti seri per attuare politiche che siano dalla parte della gente.
Vuol dire non avere paura e battere, se è il caso, i pugni sul tavolo per combattere le sacche di privilegio.
Vuol dire non difendere chi ha generato danni per la collettività.
Vuol dire battersi per la riscossione degli oneri di concessione e fare emergere, laddove se ne ravvedano, le responsabilità politiche nella gestione dei rifiuti.
Vuol dire chiedere le ispezioni nei settori in cui ci sono dirigenti arrestati in flagranza di reato per verificare se siamo davanti ad un caso isolato oppure ad un sistema corrotto e perpetrato negli anni.
Vuol dire agire non apparire.
Ma per fare questo non devi essere sola. Ed io mi sono sentita sola troppe volte. E certe battaglie non si possono fare da sola se sei un segretario di Partito.
Tante promesse fatte in campagna elettorale e spesso poi dimenticate e quella visione del mondo ormai persa.
Leggo sui giornali delle liti interne, dei tesseramenti gonfiati, dei congressi invalidati e soprattutto di provvedimenti spesso contrari ai principi e ai valori cui il PD dovrebbe essere detentore.
Abbiamo smesso di ascoltare concentrandoci sul nostro essere “politici”.
Beh.. io ho scelto di non essere “politica”, forse anche perché non mi ci sono mai realmente sentita, e di tornare ad essere “cittadina” per assaporare quel profumo di libertà che mi porta a dire oggi più di ieri che ho bisogno di stare dalla parte di chi soffre, di chi non riesce più neppure a pagare le bollette della luce, di chi per alimentarsi cerca nei bidono della spazzatura e di chi oggi non vede più un futuro.
Ho deciso di stare dalla parte della gente perché per fare politica, nel suo senso più autentico, non è necessario essere dirigenti ma la si fa con maggiore convinzione se si fanno delle scelte di campo. Ed io sto dalla parte dei più deboli ed ho deciso di optare per la verità perché solo la verità ci rende realmente liberi.