Dal 20 settembre 1870 sono trascorsi ben 150 anni. Data la sua rilevanza storica, sarebbe auspicabile che in tutte le scuole italiane se ne parlasse diffusamente perché è da considerare una delle date più importanti del Risorgimento italiano.
Rappresenta, infatti, il completamento dell’Unità d’Italia dopo il buon esito della spedizione dei Mille. Garibaldi, dopo l’acquisizione del Regno delle Due Sicilie da parte della dinastia sabauda, aveva manifestato chiaramente la sua volontà di continuare l’avanzata per completare la spedizione abbattendo lo Stato Pontificio. Proprio Vittorio Emanuele II, però, si era dovuto affrettare a raggiungere la Campania per dissuadere l’Eroe dei due mondi dal compiere quell’impresa. Il 26 ottobre 1860, i due s’incontrarono nei pressi di Teano… e il Generale dovette inghiottire il rospo della forzata e dovuta ubbidienza. Per la verità storica, a Vittorio Emanuele non sarebbe dispiaciuto aggiungere al Regno d’Italia anche i territori dello Stato Pontificio, ma era consapevole che ciò avrebbe provocato la reazione dell’imperatore di Francia Napoleone III che già aveva dichiarato di voler difendere il Papa inviando colà una guarnigione militare.
La data del XX Settembre, scelta per l’intervento, anche se questo intervento da tempo veniva “sponsorizzato” dalla Sinistra e dal generale Nino Bixio per l’avversione contro il Papato, non era del tutto casuale. Infatti, già venti giorni prima, la Francia aveva subito la sconfitta di Sedàn, durante la guerra franco-prussiana, con la caduta di Napoleone III e la proclamazione forzata della Repubblica. Parigi era stata accerchiata e costretta a subire le imposizioni del Cancelliere prussiano Ottone di Bismarck. Forse in seguito non ci sarebbe stata altra occasione migliore di questa.
La Sinistra italiana, con i repubblicani in prima fila, era contro Napoleone III e si augurava la sua caduta per risolvere la questione romana, anche se l’imperatore francese aveva ritirato la guarnigione da Roma per sperare in un appoggio italiano alla guerra franco-prussiana in atto. Lo stesso dichiarava di affidare l’integrità dello Stato Pontificio all’onore del Re d’Italia, ritenendo che questi da cattolico non avrebbe attaccato un altro Stato Cattolico, considerato il centro della Cristianità.
Il Papa, da parte sua, pur essendo convinto che alla fine l’infausto evento si sarebbe concretizzato, continuava a sostenere che ciò non si sarebbe mai verificato. Vittorio Emanuele, per quanto gli riguardava, in una lettera, lo aveva supplicato “con affetto di figlio e fede di cattolico” di non opporre un’inutile resistenza. Cosa che anche alcuni suoi collaboratori gli avevano prospettato. Ma Pio IX avrebbe voluto che il Concilio Ecumenico Vaticano I, apertosi l’8 dicembre 1869, avesse dichiarato “dogma il potere temporale”, in modo che chi avesse osato violarlo sarebbe caduto in eresia; i cardinali non votarono quella richiesta, acconsentendo solo alla dichiarazione d’infallibilità del magistero, nel senso che il Papa non si sarebbe sbagliato se avesse affermato che l’esercito italiano non sarebbe mai entrato a Roma. Subito, Pio IX dovette constatare che non erano certe deliberazioni a renderlo invulnerabile. La stessa cosa si sarebbe verificata, quasi con certezza, in caso di dogma perché nessuno gli avrebbe potuto assicurare che l’esercito avanzante non sarebbe andato oltre per paura dell’eventuale scomunica per eresia.
Si deve al Segretario di Stato, cardinale Giacomo Antonelli, la mediazione con il generale tedesco Hermann Kanzler di ritirare le truppe pontificie dentro le mura e di non opporre che una larvata e pacifica resistenza, anche se il cannoneggiamento dell’artiglieria italiana si era dovuto protrarre per diverse ore per creare la breccia.
L’esercito papalino, del resto, era un’accozzaglia di mercenari di circa 15 mila uomini. Il corpo di spedizione italiano, invece, era composto di cinquantamila uomini al comando di Raffaele Cadorna, il quale, nonostante il suo disprezzo per i garibaldini, aveva dovuto accettare come Generali di Divisione Nino Bixio ed Enrico Cosenz, impostigli dal Ministero per esigenze di politica interna, come scrive Indro Montanelli nella sua Storia d’Italia.
Raffaele Cadorna riuscì a occupare la città di Roma, con due battaglioni, uno di fanteria, l’altro di bersaglieri. Anche se si trattò di un breve combattimento, si dovettero contare 19 morti e una cinquantina di feriti da parte pontificia e 49 morti e 141 feriti da parte italiana.
Così, a operazione avvenuta, il Giornale di Sicilia del 20 settembre 1870, poté comunicare al lettori siciliani:
Siam lieti di pubblicare il seguente telegramma pervenuto or ora al Generale Medici dal Generale Masi:
“Quartier Generale Villa Albano – alle cinque antimeridiane aperto fuoco fra Porta Pia e Porta Salaria.
Colonna attacco entrata per Porta Pia e per la breccia alle ore 10,25 con impeto valorosissimo”.
Ed ecco l’articolo di fondo del giorno dopo,dal titolo 20 Settembre 1870:
Le truppe italiane sono entrate in Roma, non senza prove di valore. Esse già occupano la città, dopo aver costretto a capitolare le truppe straniere che stavano a difesa. È questo un grande avvenimento che segna la caduta del potere temporale e la trasformazione del Papato, che ne sarà la necessaria conseguenza. Noi ce ne rallegriamo e come Italiani e come Cattolici. Come Italiani perché il possesso di Roma ci era indispensabile per compiere la nostra unità, per distruggere quel covo di reazionari che all’ombra delle Sante chiavi cospiravano contro la patria nostra. Come cattolici, perché siam persuasi che il Papato, reso libero da ogni mondano interesse, potrà ritornare alle sue pure origini, quando la voce di un povero pescatore di Galilea bastò a trasformare la società romana e l’edificio religioso e politico sul quale era fondata. OMISSIS
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Con quest’azione di forza, ebbe fine il potere temporale della Chiesa iniziato nel 728 con la donazione di Sutri al papa Gregorio II, da parte del re longobardo Liutprando. Il papa Pio IX si dichiarò prigioniero politico e si chiuse in Vaticano. In tal modo Roma poté diventare capitale d’Italia. Il plebiscito per l’annessione dello Stato Pontificio all’Italia ebbe più di 40 mila sì e solo 46 no. La popolazione romana non poteva considerarsi soddisfatta del governo preesistente se è vero che su 230 mila abitanti, c’erano cinquanta mila disoccupati e trentamila poveri.
Quella data fu dichiarata festa nazionale fino al 1929, quando furono firmati i Patti Lateranensi. Per Giovanni Spadolini rappresenta “il momento più alto del Risorgimento italiano”.
Annualmente la ricorrenza veniva commemorata in tutta Italia; anche a Bagheria il XX settembre 1910 si festeggiò il 40° anniversario di quell’avvenimento e quale oratore fu designato l’avv. Totò Scordato (nipote del “Briareo” Giuseppe) che tenne un discorso applauditissimo, ispirato al patriottismo e al nazionalismo italiano. Dopo la conclusione del comizio, avvenne una dimostrazione lungo le vie Butera e Umberto I al grido di Evviva l’Unità d’Italia, Viva la libertà di pensiero! La giornata si concluse con un concerto musicale.
Il XX Settembre 1870, come abbiamo visto, è una delle date più importanti della nostra storia e meriterebbe che in ogni città italiana grande o piccola ci fosse una via a essa dedicata, come penso che ciò sia avvenuto ovunque. Così ha fatto la nostra amministrazione comunale che, intorno al 1920, deliberò di dedicare al XX Settembre la traversa del Corso Umberto I che prima si chiamava Via Pero.