di Tonino Pintacuda
Tanti anni fa, quando ancora Mark Zuckerberg doveva finire il liceo, anni prima di creare Facebook, i modem gracidavano a 56k. I cellulari servivano solo per telefonare ed erano un privilegio per i professionisti. Chi lo sfoggiava attaccato alla cintura era vittima di scherno. Per anni abbiamo sfottuto il padre di un mio compagno di classe, convinti che lo usasse solo per chiamare sua moglie: “Rosalia, cala la pasta che sto arrivando!”
A quei tempi, il 2001 o giù di lì, avevo delle orrende basette e la ferma convinzione che il mondo non finisse in provincia di Palermo, nella mia amatissima Bagheria.
Volevo fare qualcosa. Già alla scuola media, guidato dalla professoressa Stabile, ci avevo provato a creare un giornalino, fatto di sudore, speranza e pezzi battuti sulla Olivetti Lettera 22 ereditata da mia madre. Ci riprovai al liceo con “Carpe Diem!”, riuscimmo a farne giusto un paio di numeri in un laboratorio di giornalismo capitanato dalle prof. Monteneri e Fallucca.
Avevo i capelli lunghi e la convinzione che le mie parole mi potessero mettere in viaggio. Diciotto anni dopo, con un po’ più d’esperienza e meno capelli di allora, ci credo ancora. Di anno in anno con le parole ci ho pagato pane e companatico.
Dopo anni da giornalista, son passato a lavorare in una casa editrice, come vi raccontavo nella prima puntata di questa rubrica. Quella voglia di scrivere senza pensare agli investitori pubblicitari mi ha portato a creare due riviste, e-zine si chiamavano allora, riviste digitali. Prima la gloriosa BombaSicilia, poi quella che ne raccoglie l’eredità: Pupi di Zuccaro (www.pupidizuccaro.com).
Su quelle colonne hanno scritto tante persone, con alcune siamo rimasti amici. Come con Demetrio Paolin, che su BombaSicilia ha scritto per anni e ora insegna scrittura creativa dopo che è stato finalista al Premio Strega. Marco Bisanti, il mio socio nell’avventura di Pupi di Zuccaro, oggi è un affermato traduttore, da buon autodidatta ora è così bravo che insegna agli altri quanto ha imparato sulla sua pelle.
Insomma, ‘sto bacillo della lettura e della scrittura non era un semplice guizzo passeggero!
Su Pupi di Zuccaro scrive ancora Alessandro Buttitta, giornalista, professore e analista televisivo. Quando è passato da Milano, ci siamo rivisti. Da bravi baarioti, il leone e la vite dello stemma l’abbiamo marchiato a fuoco nel ventricolo destro. Le radici, più ti allontani, più dimostrano tutta la loro forza. Quando incoccio un bagherese è un tripudio di promesse “Compà! Dobbiamo vederci più spesso, non facciamo passare un altro anno! Ci dobbiamo fare una spanciata di sfincione! Quanto mi manca la tuttacarne di Mineo’s” e altre promesse leggere leggere, puro autoinganno.
Qui la vita, come quella di tutti, chiede il suo tributo di attenzione su altri fronti. Senza accorgercene, siamo diventati quegli emigrati che ritornano a Casa – l’unica che si merita la maiuscola – solo per la festa di San Giuseppe. Alessandro quando è venuto in redazione aveva appena vinto il concorso e ottenuto la cattedra. Due chiacchiere e c’era già il progetto per fare un libro capace di riunire le sue passioni: da un lato la scuola e dall’altra l’immaginario di film, serie tv e libri. Nel catalogo Laurana abbiamo una collana di saggistica con un taglio volutamente “pop”. Si chiama dieci. Ogni volume affronta un argomento in dieci punti, che se l’Altissimo ha scelto per le sue Leggi il decalogo, il motivo c’è. Lo stesso per cui contiamo su base decimale. Abbiamo dieci dita. Un dito per ogni argomento. Un dito per ogni aspetto della missione quotidiana di un professore. Così è nato “Consigli di classe. 10 buone idee per la scuola”, impreziosito da un’intervista esclusiva a Carlo Verdone in occasione dell’anniversario di uno dei suoi film più famosi: Compagni di classe. In copertina il grafico e illustratore Paolino “Perdigiorno” Deandrea ha realizzato una composizione con i dieci protagonisti del libro di Alessandro: Albus Silente, il professore Keating de “L’attimo fuggente”, Lisa Simpson, il prof. di Bianca di Nanni Moretti e il prof. di “Io speriamo che me la cavo”. Perfino Walter White di Breaking Bad e Zanardi del fumettista Andrea “Paz” Pazienza. Oltre all’immancabile libro “Cuore” e alla zazzera di Antonello Venditti, che dire scuola senza avere in testa “Notte prima degli esami” non si riesce! Ad ogni personaggio un tema su cui la scuola è chiamata a rispondere, dalla supplentite che flagella la scuola di stregoneria di Harry Potter, alla viva intelligenza della secondogenita della famiglia Simpson, al prof. interpretato da Paolo Villaggio, eroe di frontiera. Un libro che fa sorridere e riflettere. Nella quarta ho scelto di mettere un estratto dall’intervista a Carlo Verdone: “Quando un insegnante ti porta ad amare la materia che sta insegnando, lui sta compiendo una grande, immensa missione. Ti sta educando al bello, alla grande cultura, alla curiosità in un’arte. Molto degli insegnanti che ho avuto – ci metto anche mio padre Mario – sono stati autentici sacerdoti del bello. A loro devo dire ancora oggi grazie”.
Di questo piccolo grande libro, verde chiaro come i registri del tempo che fu, ne hanno parlato tutte le testate nazionali, dalla Repubblica al Messaggero. Alessandro lo sta portando in giro per l’Italia, l’ha presentato anche a Roma alla fiera della piccola editoria più importante d’Italia: “Più libri, più liberi”. Lì, sotto la nuvola di Fuksas.
Ecco, tutti quei pomeriggi a sentirci etichettati come “afferracazzintallaria” non ci hanno fatto perdere la voglia di dire la nostra, di sfidare la certezza collaudata della bussola per trovare sentieri non battuti.
Devo dire grazie anche io a quelle professoresse e quei professori che mi hanno dato la possibilità di coltivare le mie passioni: la professoressa Stabile, la professoressa Muzzicato, la Cassarino, la Monteneri, la Fallucca e lui, il grande Lorenzo Bellavia che ci terrorizzava con la sua mont-blanc che scorreva sul registro.
Credo che saranno tanti gli alunni che si ricorderanno con un sorriso sincero e colmo di riconoscenza delle lezioni del piccolo grande prof. Buttitta!
Alessandro, come è nato il libro “Consigli di classe”?
“L’idea è arrivata a Ustica durante il mio primo anno di insegnamento. Ci sono stati episodi che mi hanno condotto alla stesura di questo libro: l’incontro e il confronto con colleghi molto attenti alle tematiche dell’educazione, i consigli di classe estesi alla cittadinanza tra una birra e l’altra, la conoscenza di una storia poco conosciuta con protagonista Antonio Gramsci. Qui l’intellettuale sardo, confinato per quarantaquattro giorni a cavallo tra il 1926 e il 1927, trovò il tempo di fondare una scuola in compagnia di Amadeo Bordiga. Sono stati tanti tasselli decisivi per la pianificazione di questo mio primo lavoro: volevo mettere in risalto, in modo agevole ma puntuale, la realtà che troviamo in classe. Invece di perdermi in lungaggini sulla mia esperienza, ho preferito analizzare l’immaginario scolastico costruito dal cinema, dalla serialità televisiva, dalla letteratura, dalla musica e dai fumetti”.
Già dall’indice è evidente il tuo amore per film, libri e serie tv. Ci racconti della tua esperienza di giornalista specializzato?
“Nel 2010 ho ideato e realizzato un giornale online, Ed è subito serial, dedicato alla serie tv. In questa avventura – una delle prime in Italia, con una testata regolarmente registrata – io e il mio socio Francesco Sciortino abbiamo iniziato a curare approfondimenti, notizie e interviste su questo mondo in continua espansione. Il sito ci ha dato molte soddisfazioni: diverse realtà importanti, dal Corriere della sera a Vanity Fair, hanno segnalato il nome di Ed è subito serial. Nel frattempo, nel 2011, dopo esser stato provinato, sono diventato uno degli analisti di TvTalk su Rai3. Nel 2012 sono stato cercato da Rai4, al tempo diretta da Carlo Freccero, per collaborare alla realizzazione di un programma sulle serie tv, Mainstream, oggi chiuso. Sono rimasto a Roma per due anni e mezzo. Nel mio periodo nella capitale, dopo aver trovato il tempo di fare un master in Digital Journalism, ho iniziato a collaborare anche con altre realtà editoriali (Huffington Post, in primis). Il mio campo di riferimento: serie tv, fumetti e televisione. Nel 2015, dopo aver passato le selezioni per l’abilitazione all’insegnamento, sono tornato in Sicilia per intraprendere questa carriera. Tuttavia, pur cedendo al richiamo della stabilità della cattedra, continuo a scrivere da giornalista free lance”.
Dall’Huffington Post alla cattedra di una scuola. Una bella sfida. Tu sei figlio d’arte, anche tuo padre è professore. Perché in questi anni in cui la scuola è sempre più mortificata, hai scelto questa difficile carriera?
“Sono diversi i motivi che mi hanno portato a questa decisione. Senza dubbio uno dei fattori che mi hanno maggiormente spinto a fare questa scelta è la possibilità di avere maggiori certezze sia dal punto di vista lavorativo che da quello economico, certezze che si legano inevitabilmente con la possibilità di costruire una famiglia tutta mia. Inoltre ho preso il treno dell’insegnamento – abilitazione e concorso nel giro di due anni – per avere una serenità che la precarietà del giornalismo contemporaneo non riesce a offrire. Ho sempre vissuto la scuola – papà insegnante e vicepreside alla Scuola Media “Giosuè Carducci” da tantissimi anni – e trovo che essa sia affascinante per la realtà che racconta. La più grande sfida, in questi tempi così superficiali, passa dalla formazione delle nuove generazioni. Ho pensato di poter dare il mio contributo. Credo di esser maggiormente utile più da insegnante che da giornalista”.
Dove trovi la forza di tenere a bada una classe armata di smartphone di ultima generazione? Come riesci a tenere viva l’attenzione?
“Sono ancora giovane e cerco di connettermi al loro mondo, di capire cosa ascoltano e vedono, di comprendere quali sono i loro interessi. È un lavoro sfiancante alle volte – la realtà è molto più veloce delle nostre idee -, che a volte può riservare graditissime rivelazioni e sorprese. Tenere alta l’attenzione è difficile. Tuttavia, a onor del vero, penso che non sia solamente un problema dei ragazzi. Pure gli adulti hanno oggi soglie veramente basse di concentrazione. Cerco di interessare i miei studenti mettendo in connessione il loro mondo con quello che studiamo. Impresa assai ardua quando si affronta la Guerra dei Trent’anni”.
Quanto conta il tuo essere bagherese?
“Domanda alla quale non so ancora rispondere con precisione. Lo sguardo che ho oggi sulla città e le sue contraddizioni è sicuramente diverso da quello che avevo dieci anni fa. Nel ridefinire le mie priorità essere bagherese ha avuto un ruolo determinante perché a Bagheria ci sono i miei affetti, i miei luoghi”.