E’ una lettera molto dura quella che Fabio Carapezza Guttuso, erede universale di Renato Guttuso ha inviato al quotidiano Repubblica che l’ha pubblicata interamente oggi nelle pagine locali con il titolo eloquente: “Museo Guttuso “il progetto nel caos”. Carapezza avanza numerose perplessità sulla gestione attuale del museo e lancia critiche anche al consulente Adalberto Catanzaro che non chiama mai per nome e lo definisce “gallerista locale”.
Carapezza critica anche la decisione di allestire una nuova mostra al piano nobile.
“Non si tratta solo della nuova chiusura del museo, la seconda in un solo mandato (inqualificabile dopo un anno di lavori e soprattutto dopo che inutilmente avevo invitato l’amministrazione comunale a consultare preventivamente i Vigili del Fuoco, sottoponendo loro il progetto), e neppure soltanto della mancanza di strumenti che consentano il controllo microclimatico delle stanze e della sicurezza fisica delle opere, esponendole a rischi di degrado.
Si tratta anche di una evidente assenza di trasparenza e legalità, derivante dal comportamento dell’assessore e del dirigente, che avallano o promuovono azioni contrarie alle decisioni assunte in quel consesso, unico legittimo organo di gestione del Museo.
Mi riferisco in primo luogo all’allestimento del Museo, curato dalla dottoressa Dora Favatella Lo Cascio, il cui piano espositivo è stato condiviso dagli Archivi Guttuso e dall’amministrazione comunale, approvato dal comitato direttivo, e infatti, mostrato alla stampa e al pubblico in occasione della riapertura. Tale allestimento infatti viene progressivamente smantellato su ordine di un gallerista locale, consulente del sindaco, che ha avuto il compito di occuparsi del Museo, salvo poi essere esautorato da tale compito, solo sulla carta, in seguito alle diffide degli archivi Guttuso preoccupati dall’inevitabile conflitto d’interessi esistente tra chi si occupa di arte per motivi ideali e chi dell’arte fa mercato.”
Sull’allestimento Carapezza sottolinea che un progetto complessivo coerente che non può essere modificato senza un progetto alternativo, soprattutto in un museo territoriale e complesso come il Museo Guttuso “dove diviene la esplicitazione visiva di un pensiero che riesce a tenere insieme le diverse anime di Bagheria: la tradizione ottocentesca con l’avanguardia, il carretto dei Ducato con la fotografia di Tornatore, il manifesto Cinematografico con la scultura l’edicola.”
Fabio Carapezza critica sia l’assessore Romina Aiello che il dirigente Giuseppe Bartolone (senza nominarli) dicendo che “nonostante senza alcuna approvazione del comitato, a far data dalla presenza in loco del mercante d’arte, si è dovuto assistere ad una solerte attività dell’assessore e del dirigente coerentemente volta a portare a termine un infaticabile compito demolitorio, nel corso del quale sono state fatte rimuovere decine di opere, per far spazio ad artisti e quadri (per logiche oscure) in quel momento da valorizzare, spesso cadendo persone nel ridicolo, come nel caso dell’opera di Madè, che prima spostata è stata rimessa frettolosamente al suo posto.”
Il figlio adottivo di Renato Guttuso definisce la decisione di allestire nuove mostre malgrado siano state bocciate dal comitato direttivo, “privi di un progetto scientifico, probabilmente perchè retti da logiche che di scientifico hanno ben poco, e senza un elenco dei quadri da esporre. Per di più pretendendo di realizzare il tutto nel piano nobile del museo, che per precisi obblighi in capo al Comune, atto ad ospitare solo e soltanto il Museo Guttuso, smantellando i quadri appesi e calpestando leggi e contratti.”
Carapezza aggiunge avanzando un’ipotesi secondo la quale le scelte siano volute provocatoriamente rivolte a perseguire un unico obiettivo, quello di avere campo libero, cercando di liberarsi della presenza di chi è preoccupato ad assicurare il rispetto della legalità e della trasparenza, del nome e dell’immagine del Museo Guttuso e delle sue opere, del messaggio culturale che il Museo Guttuso è in grado di assicurare se sapientemente gestito.”
Conclude scrivendo che prende formalmente le distanze dalla gestione del museo definendola “opaca”, appesantita dal conflitto d’interessi derivante dalla presenza del “gallerista locale”.
Inoltre sottolinea che il suo intervento è volto a salvaguardare e tutelare il patrimonio culturale da chi vuole metterci sopra le mani. “Un patrimonio che desidero ardentemente rimanga a Bagheria, accanto alla tomba di mio padre adottivo”.