Per essere in tema con la guerra che in Italia e nel mondo si sta conducendo contro il Covid 19 – ma senza con questo volere intristire i lettori – riporto alcune notizie che riguardano manifestazioni coleriche verificatesi nell’ultimo quindicennio dell’Ottocento. Come avviene ora per il Coronavirus, anche allora per il colera, le autorità nazionali, provinciali e locali dovevano prendere dei provvedimenti tempestivi per evitare al massimo il diffondersi delle epidemie. L’adozione di alcune decisioni spesso contrastava con le abitudini dei cittadini, vuoi per ignoranza, vuoi per cattiva volontà di uniformarsi alle restrittive disposizioni di legge in materia d’igiene.
Durante l’Ottocento, diverse volte la popolazione italiana è stata colpita da quel terribile male che è il colera. L’anno più infausto per Bagheria, durante la sindacatura di Gesualdo Pittalà (1), è stato il 1837, tanto che, per la virulenza dell’epidemia colerica, si contarono circa 600 morti. Allora si dovette trovare un’apposita area alle falde del monte Giancaldo, con accesso dalla stradina dove c’è la Cappella delle Anime Sante (Aimmuzzi Santi), in Via Vallone del Fonditore. Nel 1867, ci fu un’altra epidemia colerica, nel corso della quale si diede molto da fare il dott. Giacomo Mancuso (2) che in seguito ricevette dal Re una medaglia d’argento al valor civile per il suo impegno dimostrato in quella circostanza. Durante il colera del 1837, il padre di costui, il dott. Stefano Mancuso, durante l’assistenza agli ammalati, isolati nel lazzaretto, era stato colto da alta febbre e ci aveva lasciato immantinente la vita.
Nel triennio 1885-87, il colera fece molte vittime soprattutto al Centro Nord, ma anche da noi si registrò un certo allarme tanto che il G. di S. del 19 settembre 1885 pubblicò la seguente notizia dal titolo PALERMITANI RESPINTI: Riceviamo il seguente telegramma da Bagheria che pubblichiamo senza commenti – Bagheria 18 ore 12,55 – Oggi col treno delle 10, giunti i viaggiatori in Bagheria, la Commissione municipale fece entrare soltanto i paesani, respingendo i palermitani. Tale determinazione indegnò i viaggiatori anche per il contegno poco cortese dei componenti la Commissione suddetta.
Due settimane dopo, il G. di S. del 6 ottobre 1885 pubblicò il seguente articolo dal titolo: Il colera in Aspra:-Il male è apparso in questa contrada, aggregata al comune di Bagheria, il giorno 22 settembre in persona di un pescatore che erasi recato a Palermo per pegnorare alcuni suoi oggetti. Ha fatto piuttosto strazio, se si nota la scarsezza della sua popolazione. Sino a qualche giorno fa il paese era completamente bloccato, e la guardia di uomini armati, che ne impediva l’entrata, era fatta con molta vigilanza. Però, ora, grazie alle sagge disposizioni del Prefetto della Provincia, quegli ostacoli furono tolti. In cotesto bel sito per postura e per aria, vive una gente poverissima, che soffre, per la scarsezza di mezzi anche in tempi normali. Ma ora con le provvide misure prese dall’ottimo sindaco di Bagheria, cav. Antonino Scordato (3), onde venire in sollievo di tanti infelici, si è evitato, a tempo, che provassero la fame. …Il cav. Scordato si era distinto anche nell’epidemia del 1867. A cura di quel municipio, difatti, giornalmente vengono distribuiti a quei poveri di Aspra dei viveri: pasta, pane e vino. OMISSIS
Qualche mese dopo, il nostro Comune deliberò di creare il CORDONE SANITARIO, come scrive il G. di S. del 3 novembre 1885: È noto che non pochi paesi, sino dal primo apparire dell’epidemia fra noi, si sono circondati dai cordoni sanitari, per non fare entrare alcuno. Tra questi paesi è Bagheria. Ora, un funzionario di P. S. dovendo recarsi in Bagheria, fu respinto dalle autorità del Comune, appoggiate dal rispettivo cordone. Allora il funzionario tornò indietro e riferì il fatto al Prefetto, il quale lo rimandò a Bagheria, accompagnato da quaranta carabinieri a cavallo, bersaglieri e questurini, i quali giunti nel Comune, ordinarono il disarmo dei cittadini che stavano alla porta del paese ed il libero transito. La forza pubblica passò e il cordone venne levato. Ma per poco…poiché verso sera i cordoni erano già…ristabiliti.
Ben presto l’epidemia colerica andò esaurendosi e, ad eccezione di qualche caso, per circa otto anni lasciò in pace la nostra popolazione.
Verso la fine del 1893, infatti, il colera – che, a quanto pare, giunse dalla Russia – si propagò anche in Italia, ma alla resa dei conti si trattò ancora una volta di una forma abbastanza blanda tanto che il numero dei morti era da considerare irrisorio. Ce ne furono anche a Bagheria, ma lo vedremo più avanti. L’attutirsi del male era dovuto al fatto che si andavano intensificando gli studi batteriologici ed epidemiologici su questo terribile male. I comuni erano tenuti per legge a un maggiore controllo dell’igiene pubblica, e i cittadini ad una migliore tenuta dei pozzi neri.
Il Giornale di Sicilia, in una serie di articoli firmati dal corrispondente Mefistofele (4) e pubblicati dai primi di settembre fino a oltre la metà del mese di novembre 1893, dà notizia non solo dei casi sospetti di colera ma anche dei deceduti a causa di essa. Ecco i nomi di questi ultimi che, a quanto si diceva, si trattava di persone che avevano avuto contatti con Palermo: Aiello Rosario di anni 43, Provenzano Salvatore di anni 35, Calì Francesco Paolo di anni 23, Caterina Greco di anni 2 e il padre di lei Giuseppe di anni 30, Brasotto Sebastiano di anni 42.
Era tutto da leggere il pezzo del G. di S. datato 3-4-novembre 1893 dal titolo COLERA E SUPERSTIZIONE: Ieri (1 novembre) da Palermo veniva qui certo Domenico Speciale di Antonino, di anni 32, con manifesti sintomi di malattia epidemica. La madre, vedendo il figlio contorcersi per i dolori di ventre, credette che egli avesse gli spiriti in corpo, e pian pianino lo condusse nel vicino Convento di Sant’Antonino, ove stanno pochi frati, per farlo esorcizzare. Infatti, quei frati, saputa dalla donna la cosa, trassero il povero giovane in chiesa, lo fecero adagiare sulle ginocchia della madre, accesero i ceri, e si misero a fare orazioni e a cospargere la testa di acqua benedetta. Lo Speciale, però, sempre più in preda al male, pei forti dolori cadde dalle ginocchia della madre e si distese per terra contorcendosi. I frati avevano un bel litaniare; quelli non erano demoni, ma microbi, e ci voleva ben altro che orazioni e acquasanta! Finalmente la madre ricondusse il figlio a casa, in gravissimo stato; e quando i vicini la consigliarono di chiamare il medico, e questo venne a visitare l’infermo, il disgraziato Speciale era già morto! Il caso ha fatto una certa impressione nel paese; ma, considerato che lo Speciale si ammalò a Palermo, c’è tuttavia da confortarsi che qui non esiste e non si propaga il germe colerigeno. (5)
VERSO L’ESAURIRSI DELL’EPIDEMIA – L’ultima nota del G. di S. la leggiamo nell’edizione del 18-19 novembre 1893 – Col primo treno d’oggi (17) si è recato in questa il medico provinciale dott. Giardina, il quale, mentre in gran parte trovò lodevoli i provvedimenti deliberati e fatti eseguire da questa rappresentanza comunale, altro ne suggerì. Intanto, da ieri non sono stati denunziati altri casi di colera, e ciò ha sollevato lo spirito di questi abitanti. (*)
NOTE
(1) Sindaco dal 1° gennaio 1837 al 2 luglio 1849
(2) Sindaco ff. dal 1878 al 1880 e assessore alla P. I.
(3) Sindaco nel biennio 1866-67 e dal 1881 al 1888
(4) Pseudonimo di Beniamino Cosentino maestro nel periodo e Direttore didattico dopo la morte del sac Francesco Castronovo avvenuta nel 1899. – (5) Sindaco Alessandro Pittalà, in carica dal 1888 al 1900; lo era stato anche nel biennio 1880-81
(*) Per altre notizie sul colera e sulla storia in generale del nostro paese, si consulti il mio volume “Bagheria” Edit. Plumelia apr. 2018.