Fabio Ceraulo, palermitano d.o.c. come riporta la quarta di copertina del suo ultimo libro, è tornato in libreria con “Anima di polvere”, romanzo edito da Leima ed ispirato alla storia di Sebastiano Camarrone, una delle tredici vittime che il 4 aprile 1860 diedero vita alla famosa ed al tempo stesso sfortunata rivolta della Gancia.Lo scrittore presenterà il suo libro domani pomeriggio, a partire dalle ore 18, al Caffè letterario Don Gino, nell’ambito di una rassegna organizzata con la libreria Interno 95. Lo abbiamo intervistato.
Fabio, l’idea di questo libro nasce da una lapide in via Porta Carini. Ce ne vuoi parlare?
Nella via principale del mercato del Capo, c’è questa lapide, al primo piano di una palazzina. Si riesce a leggere solo il nome, Sebastiano Camarrone. Il resto sarebbe da restaurare. L’idea di andare a vedere chi fosse questo tizio ha suscitato in me curiosità. Nemmeno io sapevo chi fosse, così dal puro approfondimento personale è nata l’idea di scriverci un libro.
Il tuo è, lo ripeti spesso, un romanzo. Che però affonda a piene mani nella storia e, per questo, ha comportato sicuramente un necessario lavoro di ricerca. Quali sono state le tue fonti e quali, di queste, ti hanno dato più informazioni e spunti?
Sul protagonista non c’era molto. Sulle due vicende importanti legate al suo nome, ovvero la rivolta della Gancia del 4 aprile 1860, e la successiva esecuzione, c’era di più. Ho dovuto approfondire in biblioteca con le risorse d’epoca e soprattutto con il materiale del cinquantenario di questi avvenimenti, ovvero il 1910, quando, durante le celebrazioni, vennero fuori le testimonianze di alcune persone che avevano assistito a quei fatti e che hanno dato spunto per scrivere i momenti culminanti del romanzo nel modo più veritiero possibile.
Nell’introduzione tu scrivi “Nessuno o quasi, degli abitanti del quartiere Capo, conosce Sebastiano Camarrone”. Direi che sei generoso. Penso, invece, che nessuno o quasi tout court lo conosca e questo, da un lato, conferma la memoria corta di una società e, dall’altro, la necessità di un’operazione, come la tua, capace di destare dall’oblio una figura così importante per noi.
Camarrone non ha nulla meno di una qualsiasi vittima della criminalità. Per i modi con cui fu trattato (l’epilogo del libro è quanto mai da brividi), necessiterebbe di essere rivalutato, e come lui, i suoi compagni di sventura. Una pagina di storia che meriterebbe studio anche sui banchi di scuola, e più rispetto da tutti noi che poco ci interessiamo ai nostri stessi martiri, se non solo a due o tre.
All’interno del racconto riesci a ritagliare anche uno spazio per una tenerissima storia d’amore. Quanto c’è di vero in questo rapporto?
Bisognava affiancare alla realtà una parte romanzata come base e fondamenta del resto. La storia d’amore fa parte della cosiddetta “fiction”. Mi sono chiesto però, leggendo che all’epoca quasi tutti i maschi si sposavano in età giovanissima (le donne ancora meno) come mai Sebastiano, che al momento finale del racconto aveva quasi trent’anni, non lo fosse. Dai pochi documenti che lo riguardano, risulta che fosse scapolo. Poteva essere fidanzato, chi lo sa? Ho immaginato dunque una storia d’amore che però non ebbe seguito.
Uno degli aspetti più drammatici dei fatti narrati riguarda la delazione, il tradimento, il doppiogiochismo. Palermo era davvero così?
Anche peggio. Il regime borbonico aveva spie, infiltrati e collaboratori dappertutto. Non ci si poteva fidare, in pratica, di nessuno. Molta gente si vendeva per fame, per pochi spiccioli. Alcune insurrezioni popolari, come quella del 1850 capeggiata da Niccolò Garzilli, o la stessa rivolta della Gancia, fallirono perché i confidenti avvisarono le autorità borboniche prima che quelle scoppiassero.
I ribelli non sono solo esponenti delle classi meno abbienti. Tra le fila di chi non vuole più subire l’oppressione borbonica ci sono anche tanti giovani nobili. E, infatti, non a caso nel Gattopardo, Tomasi di Lampedusa non esita a ricordare che il principe di Salina ha dovuto fare ricorso a tutto il suo prestigio per togliere dai guai di quel 4 aprile. Molti di loro, però, ebbero un destino meno infausto di quello di Sebastiano.
A subire sono sempre i poveracci. I nobili, potevano sempre avere un “santo” in paradiso. Così è stato per molti di loro. Nel nord Italia, per esempio, alcuni giovani rampolli di famiglie aristocratiche, legati alla Carboneria, non finirono sulla forca proprio perché non erano semplici popolani. Per gli altri, non ci fu scampo. Gli avvocati nemmeno venivano presi in considerazione.
Ho la sensazione che il lettore che scelga il tuo libro finisca col volere bene a Camarrone ed ai suoi dodici sfortunati eroi. Era quello che volevi?
Sicuramente. L’età risorgimentale è anche l’età del romanticismo, delle figure che si sacrificano in nome di un ideale. Magari nella mente di quei giovani che cercarono di cambiare le cose non c’era l’ideale di patria e libertà perché molti di loro erano analfabeti, ma erano guidati dall’odio verso l’oppressore. Da quello che ho saputo, dalle recensioni e dal consenso dei lettori, la figura di Sebastiano ha strappato qualche lacrima. Non si può che volergli bene, a questo martire così semplice e così sfortunato.