Sabato 12 Gennaio 2019, alle ore 18.00, nella sala Borremans di Palazzo Butera a Bagheria, sarà presentato il volume “Dai mitici anni Sessanta all’alba del Terzo millennio – Autobiografia di Ezio Pagano”, storico gallerista, fondatore e direttore del Museum di Bagheria.
La serata prevede i saluti di Romina Aiello, Assessore alla Cultura del Comune di Bagheria, a seguire le testimonianze di Aurelio Pes drammaturgo e critico d’arte, Franco Lo Piparo professore Emerito dell’Università di Palermo e Maurizio Padovano docente di Letteratura Italiana nei Licei e scrittore, oltre a momenti d’intrattenimento: un video di Yaren e la lettura di alcuni brani del libro a cura di Ornacif.
Pagano racconta nelle sue pagine una storia di particolare intensità emotiva, dalla quale egli emerge come protagonista della scena artistica, non solo siciliana, del XX secolo. L’autore, che ama però definirsi uomo del secolo scorso, a proposito degli Anni Zero dice: “Un secolo senza ideologie e senza regole, ancora tutto da scrivere, ma da quel poco che ho veduto, sono sicuro che era migliore il XX. E se la mia affermazione non vi convince, mettete a confronto Picasso con Hirst, Bacon con Koons, e poi, se volete, ne riparliamo”.
Nel “viaggio” dentro un secolo breve e pure lunghissimo, gli eventi più significativi della sua vicenda biografica si intrecciano con alcuni tra i momenti più alti dell’arte e della cultura del Novecento. Un percorso scandito dal ritmo delle notazioni delle sue agende personali, dall’epistolario, dalle testimonianze amicali, dalle fotografie. Ne risulta un caleidoscopio sul quale si staglia una personalità intimamente conflittuale che, in una città non sempre bene amministrata, ha avuto l’ambizione e il coraggio di anteporre l’immaginario al reale – come forma di libertà autentica, come professione. Un uomo legato alla sua Bagheria ma anche da essa profondamente indispettito, perché ha visto i più coraggiosi, uno dopo l’altro, andarsene via. E perché vede chi è rimasto (imprigionato nei sentimenti, nella dimensione del privato) consumarsi in un rapporto di odio-amore con la città. Sa bene infatti – chi è rimasto a presidiare la fortezza dell’ideale, della bellezza, dell’arte – che sul proprio consapevole e instancabile impegno sta in agguato, sempre, la delusione del ritrovarsi da soli. O quasi.