L’altro giorno mentre davo uno sguardo al quotidiano economico, mi balzò agli occhi un articolo dal titolo “Ignoranti e orgogliosi di esserlo”, tratto e tradotto dal libro di Tom Nichols dal titolo “the death of expertise” (la morte della competenza).
A primo acchito fui incuriosito da questo titolo che propinava quell’atteggiamento arrogante e presuntuoso di colui il quale si professava dotto e colto nei confronti di una società mediocratica.
Nella realtà dei fatti, più leggevo e più mi rendevo conto che l’ignoranza è meritevole di essere accettata in questa società; non a caso si coltiva l’ignoranza e si rifiuta la scienza e la razionalità, si è sempre ostili verso la conoscenza dimostrando un atteggiamento arrogante e anti-intellettualistico.
Secondo una interpretazione degli psicologi Dunning-Kruger, “più si è ignoranti, più si ha fiducia di non esserlo”. Si tratta di una sovrastima legata all’assenza di conoscenza, del proprio pensiero, all’incapacità di riflessione del sé, alla carenza o totale assenza di ricerca (del sapere).
Povero Ulisse, l’Uomo, che morì per la conoscenza. Riposa in pace!
In effetti nell’era digitale e della globalizzazione multimediale, tutti siamo esperti, tuttologi nelle diverse discipline, sapienti avventori di un futuro presente, saccenti interpreti della scrematura del pensiero e credenti di una conoscenza latente e stereotipata, superficiale e limitante del conosco per sentito dire.
Ci si interroga sulle cause di questa diffusissima epidemia dell’ignoranza.
Beh penso che occorre rimandare alla memoria e rivolgere lo sguardo al passato; forse potremmo rivedere e valutare il nostro corso di studi delle superiori, rispetto alla mercificazione dell’attuale istruzione; sempre al passato, ripensiamo il nostro status di alunni, rispetto all’attuale concezione clientelare del modello studente da dover soddisfare in ogni esigenza; rispetto al passato, la diffusione costante di false università o percorsi formativi on-line; il numero di corsi di insegnamenti facilitati allo scopo di essere superati senza difficoltà dallo studente.
Mi chiedo, ma se questo è il futuro presente, oggi, possiamo quindi, dichiarare “la morte della competenza”?
In effetti, sempre continuando nella lettura, l’autore evidenzia che gli effetti di tale epidemia non si ripercuotono soltanto sulla società, ma mina anche la democrazia, in quanto mai come adesso si ha necessità e bisogno di esperti-cittadini. Infatti in un rapporto tra competenza e democrazia, sostiene l’autore, nei reggimenti antichi si assumeva che le elezioni servissero ad individuare gli “aristoi” (i migliori).
Oggi, la democratica eguaglianza politica ha aperto la strada a tutti; tutti possono coronare il sogno americano; siffatta epidemia oramai largamente diffusa ed innestatasi “può portare al vertice dei poteri pubblici persone che non sono soltanto incompetenti, ma sono anche inesperte nella gestione di affari collettivi” (cit. Nichols)
Oggi più che mai le società moderne risentono il bisogno e la necessità di ritrovare le ragioni della cooperazione tra “competenti ed eletti”, perché la politica, la buona politica, non può fare a meno né di ascoltare gli orientamenti popolari, né di interpretarli ed eseguirli.
Fino a quando non riconosciamo il giusto valore alla competenza, ma ci muoviamo entro un delimitato ambito di convinzioni acquisite o delle conoscenze (pour parler) di terzi senza alcuna personale obiettività, la speranza di vedere un cambiamento dell’attuale presente sarà sempre un lontano miraggio da raggiungere.