Si presenta oggi, a Palazzo Steri, sala delle capriate a Palermo, il libro di Antonio Belvedere “Quando costruiamo case, parliamo, scriviamo. Vittorio Ugo Architetto”.
Scomparso prematuramente nel 2005, all’età di sessantasette anni, Vittorio Ugo ha lasciato una traccia ancora in gran parte inesplorata nella cultura architettonica contemporanea. Palermitano, classe 1938, Ugo era pienamente quello che si definisce un “figlio d’arte”: nipote dello scultore Antonio Ugo e figlio dell’architetto Giuseppe Vittorio. Accanto alla sua attività di docente presso la Facoltà di Architettura, lavorò come libero professionista a Palermo per quasi un ventennio a partire dal 1962 e lo fece molto concretamente arrivando anche ad addentrarsi nella sfera dell’effettiva produzione materiale creando insieme ad un artista giapponese una collezione di gioielli che furono esposti a Palermo, presso la Galleria Arte al Borgo nel 1975. Il libro di Antonio Belvedere volge lo sguardo verso gli anni della formazione e sugli esordi come architetto, urbanista, designer e art-maker. Dalle carte dell’archivio privato dell’architetto riemergono progetti dimenticati di piani urbanistici di cittadine sperdute tra i monti e le valli della Sicilia, complicati cantieri di case inerpicate sulle alture della Conca d’oro, il municipio di Amsterdam, il palazzo dello sport di Firenze, il quartiere ZEN di Palermo e molto altro ancora. Realizzazioni e progetti che raccontano gli anni Sessanta e Settanta in Sicilia, in Italia, nel mondo attraverso lo sguardo di un giovane architetto che si sposta, con straordinaria mobilità, dal disegno del “gioiello” a quello della casa, della città, del territorio, del paesaggio. Cosmopolita per vocazione, la storia raccontata da Belvedere inizia in una Palermo divisa tra ingiurie urbanistiche e sperimentazioni d’avanguardia, lambisce il Giappone e la sua cultura millenaria e raggiunge il suo apice a Parigi nel 1978 in un confronto serrato con il pensiero postmoderno forgiatosi sull’onda delle rivolte giovanili. Quando costruiamo case, parliamo, scriviamo è il racconto di una vita spesa ad inseguire l’utopia di un’architettura aliena da improvvisazioni arbitrarie, orgogliosa della propria materialità e coerente con le proprie premesse morali. Un’impresa resa possibile grazie all’inesplorato e prezioso archivio privato gelosamente custodito da Keiko e Mizuko Ugo ed eccezionalmente aperto all’autore in occasione di questo libro.