di Cosimo Raccuglia
Egregio Sig. Sindaco,
sono un ex contrattista come sono stato definito in una nota notificatami dal Suo Ente e di cui dirò dopo. Ammetto che prima di scrivere queste considerazioni sono stato molto combattuto. So bene che questo gesto potrebbe essere strumentalizzato e forse utilizzato per fini diversi da quelli che mi hanno spinto a mettere per iscritto queste mie considerazioni.
Dal 5 Gennaio 2015, giorno in cui mi è stato notificato il provvedimento che mi imponeva di riconsegnare il mio badge usato per timbrare, non sono, per Lei, più un contrattista e quindi un dipendente dell’Ente che Lei amministra.
Non sto qui a rilevare la “freddezza” dei termini contenuti in quella nota ne la mancanza di stile: i “suoi” funzionari, “suoi” nel senso che sono pagati dal suo Ente, non si sono presi neanche la briga di salvare la forma, una nota impersonale indirizzata genericamente a degli “ex contrattisti”, priva dei nostri nomi e cognomi, omessi sicuramente per guadagnare tempo, visto l’urgenza della nota ma che ben riassumono l’atteggiamento della Sua Amministrazione nei confronti del personale.
Le scrivo, inoltre, solo ora, che non sono più un dipendente comunale e quindi non legato a quella sorta di rispetto verso il “Regolamento degli uffici e dei servizi” che, come per gli arbitri di calcio, ci vieta di rilasciare interviste o commentare se un atto o meno dell’Ente a cui apparteniamo sia o meno condivisibile.
In una città come Bagheria, dove vivo da quasi 50 anni, che ha il grosso difetto, a parer mio, di avere poca memoria storica, una sua frase pronunciata il 30.11.2014 davanti a tanti testimoni, in quell’aula consiliare, diventata in queste ultime ore motivo di tanto dibattito, mi ha fatto molto riflettere e mi continua a rimbombare nella mente. Mi riferisco a quando Lei, in risposta ad un mio ex collega dipendente che, forse, andando sopra le righe si era rivolto a Lei con toni accesi, con espressione altrettanto accesa, lo apostrofò dicendogli testualmente: “Si ricordi che io sono il suo Sindaco!”. Non so se lo ricorda ancora, io per quel poco che la conosco, credo di si. Parto da questo mio convincimento per esporre a Lei, “mio Sindaco” quale lo ritengo, le seguenti considerazioni.
Ho ancora ben presente il ricordo di quel corteo di gente festosa e con tante bandiere che riempiva, il giorno della sua elezione, il Corso Umberto.
Lei, il “mio Sindaco”, democraticamente eletto, a capo di quel corteo, entrava sorridente, a prendere possesso del Comune, come commentava qualche suo elettore e molti dei suoi attivisti, assunto in quel contesto al ruolo di “Nuova Bastiglia”, regno del malaffare e di ladri e briganti compreso i dipendenti, figli e nipoti della peggiore politica che fino ad allora aveva governato la nostra città.
Ben poche altre volte da allora ho visto il “mio Sindaco” a capo di altri cortei festosi; all’ultimo corteo dove l’ho intravisto, la processione dell’Immacolata, Lei aveva perso tutta la gioiosità dei mesi precedenti, forse conscio del peso di quella fascia tricolore che indossava.
Mi conceda un piccolo inciso: mi ha accusato insieme a tanti miei ex colleghi, per poi spudoratamente negare, nonostante la presenza di molti testimoni e persino di video, di avere dei “padrini” poco raccomandabili e che addirittura a loro dovevamo rivolgerci se avessimo voluto salvare il nostro posto di lavoro. Le posso assicurare, smentisca con i fatti se vuole, che i miei unici padrini sono stati Cosimo Raccuglia e Vincenza Vella, miei nonni e “padrini” di battesimo, che quasi sicuramente Lei non ha conosciuto e sulla cui rispettabilità non Le permetto di nutrire alcun dubbio. È un peccato che il “mio Sindaco” faccia degli scivoloni di così cattivo gusto!
Io le difficoltà che Lei si è trovato ad affrontare all’interno della macchina amministrativa ma dal “mio Sindaco” mi sarei aspettato quanto meno che conoscesse prima parlare: non si fa di tutta l’erba un fascio!
Il “mio Sindaco” non può permettersi di rivolgersi l’altra sera ad una mia ex collega contrattista dicendole: “… ma io non so nemmeno chi è lei ne tanto meno so che lavoro fa.” Sono affermazioni sempre fatte in pubblico e davanti a testimoni ma non per questo tollerabili. Credo che queste affermazioni le avrebbe rivolte a molti di noi. Si mio caro Sindaco, Lei non sa nemmeno dove lavoriamo ne cosa facciamo e come Lei non lo sanno molti dei componenti della Sua Giunta per non parlare dei consiglieri della sua maggioranza che sin dal primo giorno che sono entrati nella casa comunale ci hanno additati come mele marce o peggio ancora come piante velenose da estirpare.
Di affermazioni come “… la causa del dissesto siete anche voi dipendenti…” ne abbiamo sentite a decine durante questi mesi.
Per ben due volte nel giro di poco più di un mese, egregio signor Sindaco, Le abbiamo dato la possibilità di mettere in pratica quell’espressione che ha rivolto al mio ex collega: essere il “mio Sindaco”!!!
Entrambe le volte Lei le ha miseramente fallite, anzi ha fatto l’esatto contrario, un errore imperdonabile per uno come Lei e per il movimento che rappresenta, che ha fatto e fa della comunicazione un cavallo di battaglia.
Avrei voluto che il “mio Sindaco”, fascia tricolore al collo, fosse sceso in piazza con me a protestare, a manifestare tutto il suo disappunto anche davanti la Regione Siciliana come hanno fatto altri 28 Sindaci di tutta la Sicilia per difendere il posto di lavoro di tanti precari come me. Che mortificazione non vedere il “mio Sindaco”…
Lei sa bene come la penso su tutta la nostra vicenda, ne abbiamo parlato fino a poche sere fa assieme al suo, e fino a poco tempo fa anche mio, assessore al personale. Tralascio quanto affermato dall’Assessore Maggiore in merito all’utilizzo dell’aula consiliare e men che meno voglio giudicare la sensibilità o meno mostrata dal Presidente del Consiglio, le loro parole si commentano da sole, ma mi dispiace, e tanto, il silenzio assordante del “mio Sindaco”. Nemmeno una parola!!!
Avrei apprezzato che il “mio Sindaco” fosse venuto a incatenarsi con me in piazza, che non si fosse trincerato dietro sterili comunicati arroccandosi nella torre d’avorio di Palazzo Butera.
Avrei voluto sentire il “mio Sindaco” al mio fianco non per fare atti illegittimi ma per trovare una soluzione praticabile qualora ci fosse.
Caro Patrizio, permettimi il tu, sei ancora in tempo per rimediare, solo allora sarai veramente il “MIO SINDACO”!
Affettuosamente.