E’ considerato il capo della banda che ha messo a segno alcune rapine nelle ville di Bagheria e dintorni nei primi mesi del 2011, alcune in contrada Santa Marina.
Le manette sono scattate per Francesco Manzella, 27 anni, palermitano, del quartiere Falsomiele.
Gli agenti della Squadra Investigativa del Commissariato di Bagheria sono arrivati a lui dopo un lavoro lungo e certosino durato oltre un anno e mezzo di indagini ed il compimento di minuziosi accertamenti tecnico-scientifici. Fondamentale il riscontro del Dna.
Manzella era stato scarcerato nello scorso mese di luglio dal carcere di Pagliarelli. E’ lui, secondo gli inquirenti, ad avere seminato il panico a Bagheria – unitamente ad una coppia di complici sui quali viene mantenuto uno stretto riserbo – nei primi mesi del 2011.
Due rapine in altrettante villette isolate, a distanza di circa un mese l’una dell’altra, con le medesime modalità operative e la stessa efferatezza nei confronti degli occupanti: picchiati, imbavagliati e chiusi a chiave in uno stanzino, mentre i tre componenti della banda – due dei quali armati di pistola e tutti travisati con calzamaglia sul viso e guanti in lattice – facevano razzia di danaro, gioielli e armi legalmente detenute dai proprietari.
Un rebus per gli investigatori, anche perché a Bagheria non si erano fino ad allora registrati episodi con una dinamica simile: sin dalle prime battute, tutto lasciava immaginare che ad operare fossero stati dei professionisti provenienti dal capoluogo, sia per il marcato accento palermitano riferito dai testimoni, sia perché è lì che operano vere e proprie “batterie” di rapinatori, spesso trasfertisti in provincia ed anche fuori regione.
Due colpi all’apparenza perfetti, evidentemente pianificati da tempo, perché la banda aveva dimostrato di conoscere bene le abitudini degli occupanti, gli orari di uscita e rientro in casa, l’eventuale presenza di cani e/o allarmi acustici, l’assenza di telecamere, l’installazione di una cassaforte a muro: favoriti dalla scarsa illuminazione pubblica di quella zona e dalla sua vicinanza con lo svincolo autostradale, i tre rapinatori (sicuramente gli stessi nei due episodi) avevano potuto agire indisturbati e guadagnarsi con facilità una via di fuga.
Ma quando nel secondo episodio – risalente al marzo del 2011 – si è compreso di avere a che fare con la stessa banda che aveva colpito poche settimane prima in quella zona, gli investigatori hanno capito che ancor più dei testimoni dovevano poter “parlare”le prove fisiche.
Grazie ad un corretto isolamento della scena del crimine da parte della Volante intervenuta sul posto, ad un sopralluogo “da manuale” operato dagli operatori della Scientifica ed una brillante intuizione investigativa dei componenti la pattuglia, è stato possibile procedere alla repertazione di ciò che ha poi inchiodato il MANZELLA ed ha consentito di dare un nome ai suoi complici: la chiave di un auto di grossa cilindrata, evidentemente smarrita nella fuga e rinvenuta lungo un viottolo sterrato attiguo alla villa; tracce di bulbi piliferi e frammenti di guanto di lattice in prossimità della cassaforte a muro.
La prima ha consentito al personale del Commissariato di risalire, con non poche difficoltà, alla marca ed al modello della vettura e, successivamente, al numero di targa e all’intestatario del veicolo. A seguire, poi, l’esame delle utenze telefoniche in uso al soggetto, il traffico telefonico registrato in quei giorni, l’effettiva presenza di quell’apparato cellulare nel territorio di Bagheria in entrambi gli episodi delittuosi; i contatti con i complici nei giorni e nelle ore precedenti e successive alle due rapine.
Indizi e sospetti che, per quanto precisi e concordanti, non potevano assurgere a valore di prova, se non fosse stato per il decisivo contributo investigativo fornito dal Settore Indagini Biologiche della Polizia Scientifica di Palermo: un team di elite, coordinato dalla biologa Paola Di Simone, che attraverso quei pochissimi e minuscoli frammenti repertati sulla scena del crimine è comunque riuscito ad isolare un profilo genetico.
A quel punto è stato sufficiente acquisire il DNA del sospettato numero uno – in quel momento detenuto in carcere per altre rapine commesse a Palermo – ed attendere l’esito degli esami di laboratorio.
Una volta avuta la conferma scientifica tanto attesa, il Pubblico Ministero Gianluca De Leo, titolare delle indagini sulle due rapine, ha potuto richiedere l’emissione di una misura cautelare nei confronti del Manzella, nel frattempo tornato in libertà. Il GIP presso il Tribunale di Palermo dr. Guglielmo Nicastro, condividendo pienamente l’impianto accusatorio ed accogliendo in toto l’istanza della pubblica accusa, ha così emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico del predetto Manzella – eseguita nel pomeriggio di ieri – con l’accusa di rapina aggravata e sequestro di persona in concorso, nonché detenzione illegale di arma da fuoco.
Stretto riserbo, come si diceva poc’anzi, sulla identità dei due complici e del basista locale che ha consentito di individuare gli obiettivi da colpire: anche per loro – pluripregiudicati come il Manzella – potrebbero scattare, nelle prossime ore, analoghi provvedimenti restrittivi della libertà personale.