Una cena di sabato sera con amici forestieri alla trattoria “Don Ciccio”, e tra un uovo sodo che ritualmente dividiamo in quattro spicchi per condire con sale, pepe, olio, aceto e l’aggressivo peperoncino che il buon Francesco ha di soppiatto posto alla nostra sinistra, un bicchierino di allegro zibibbo e un defilé di portate semplici che conservano quei profumi avvolgenti e quei sapori tipicamente bagheresi, spaccato di una storia, la nostra storia, che a tratti vorremmo cancellare, riscrivere, ma il passato si staglia dietro di noi come una cicatrice che per quanto tempo passi conserva sempre una certa ruvidità al tatto, per fortuna che il passato è anche dinamico perché ti permette di rivedere continuamente il tuo esistere e proiettare il tuo essere domani verso qualcosa che ti fa sentire migliore già oggi.
Al tavolo tra una battuta e un’altra si è discusso della crisi economica e del governo Monti, di un mercato del lavoro in ginocchio e del numero sempre crescente di persone che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese dovendo fare i conti anche con l’aumento esponenziale delle tasse, delle difficoltà a contrarre un mutuo e dell’impossibilità di acquistare case per le giovani coppie, della débâcle dei partiti e della necessità di riformare tutto il sistema politico, e non poteva mancare che qualcuno chiedesse “… e a Bagheria come va?”.
Per conservare al palato tutta la forza di una terra esausta ma che conserva perenne il magma del riscatto, non si poteva prescindere dal gustare l’idillio di un raffinato cannolo che ci congedava alle 22,40 suggerendo una passeggiate digestiva verso u stratunieddu. Ad accompagnarci nella penombra di una strada dissestata e scarsamente illuminata i resti di una porta di accesso, oscenamente murata, alla decantata e derubata villa Palagonia, il viso spento di qualche reduce “mostro” di tufo che sembra volersi nascondere allo sguardo dei passanti per non potere dimostrare di avere fatto arrossire le donne, spaventato i bambini e disgustato illustri viaggiatori, e il bisbiglio di una voce antica che racconta le singolarità di quel Francesco Ferdinando Gravina II che il Goethe definisce “cervello anomalo” ma che con la sua opera anticipava il tradimento di quei nobili palermitani caduti in rovina e l’avvento dello scempio e della deturpazione di un territorio da parte dei suoi stessi figli.
E nel tentativo di ricostruire ai nostri invitati l’immagini di quello che era stato il viale che collegava villa Palagonia all’arco del Padre Eterno, la sintesi sottile di Alberto “adesso il viale è veramente costellato da mostri!”, gelando l’enfasi del nostro racconto ma cogliendo il gusto amaro di parole che non riuscivano a celare il sentimento di disfatta.
Ma alla disfatta di un ricordo si è subito presentata la disfatta del momento. Si apriva innanzi a noi un malinconico stratunieddu caratterizzato lungo tutta la sua estensione dai sacchi neri che raccoglievano i rifiuti degli esercizi commerciali, che già da ore avevo calato le saracinesche, gruppi di baby gang impegnate a imbrattare muri, straminari rifiuti e disturbare la quiete pubblica, imbecilli temerari che con la propria auto attraversavano il corso pedonalizzato a sostenuta velocità, e al centro della passeggiate i tavolini rossi del buon caro Sam, unico avamposto che prova a dare vita e significato ad un occasione perduta.
Nel dimostrare ai nostri cari amici che a Bagheria non tutte le occasioni sono perdute non poteva mancare una deviazione a Piazza Sepolcro, simbolo dello spirito di iniziativa delle nuove generazioni, cornice ideale per invitare la gente a godere del patrimonio monumentale e delle aree pedonali lentamente recuperate. Non sappiamo in quanti abbiano speso parole di stima e di gratitudine per chi ha fatto della propria attività una risorsa per il territorio e un’opportunità per animarela Città. L’“Antica focacceria”, il ristorante “La Portadel Pepe”, la“Kebaberia ai sepolcri” e un piccolo bar, offrono un interessante menu, diversi spettacoli nel periodo estivo e la pulizia e il decoro di un’intera area pubblica, ma soprattutto ci rendono Città d’Europa che sa accogliere e può balbettare la parola turismo.
Fieri dei nostri concittadini condividevamo il sogno di ritrovare presto una nuova “Piazza dell’orologio” come a Praga, o “Piazza Taksim” come a Istanbul e perché no una piccola “Rambla” come a Barcellona, insomma il nostro corso Umberto I che accanto a diverse boutique veda il colorarsi di birrerie, ristoranti e pub, botteghe d’artigianato locale, chioschetti di degustazione, circuiti di arte, cultura e divertimento. A questo punto si era fatto tardi, un vento leggero accompagnava il passare veloce di un cane randagio e non ci restava che accompagnare i nostri ospiti alle loro auto.
Salutando rispondevamo alla domanda che ci è stata rivolta in prima serata “… e a Bagheria come va?”. A Bagheria andrà quando a cambiare saremo in molti, quando prenderemo l’iniziativa per fare della nostra Città una Città aperta, accogliente e desiderabile, quando saremo artefici e promotori della nostra economia, quando capiremo che risorsa significa rispetto, quando tutto questo succederà avremo ancora più forza e legittimità per richiedere altrettanti cambiamenti alle istituzioni, a chi fino adesso ci ha rappresentato ma che fondamentalmente ci ha solo rubato il futuro, e noi abbiamo permesso che ciò accadesse.