È vieru ca appaittinienza a sienti nno sangu. Quando ti trovi in certi luoghi avverti quel senso di familiarità. A riscinnienza mia è sulantara da parte di mia madre. Mio nonno Nino mi raccontava sempre di quando vivevano a Suolantu e lui, con i suoi 10 fratelli, si occupavano di tonnara. Uno dei fratelli era un bravissimo raìs canusciutu come Pietru i Suolantu, era chiamato accussì. Mio nonno Nino e gli altri fratelli si occupavano di tagliare i tonni.
Erano abili salaturi e del tonno ogni rimasugghia era pietanza prelibata. Mi raccontava mio nonno che la madre partoriva i figli senza rendersene conto, ossia mentri arriminava a pignata ra pasta. Una doglia e ancora un’altra partoriva il figlio e poi, come nulla fosse, ritornava al suo pentolone. Donne d’altri tempi! Ma torniamo o riscuissu. Solanto anticamente era un piccolo nucleo accanto ad un castello. Qui vi erano parecchie villette e casette, nichi nichi e stritti stritti, dove vivevano appunto i tonnarioti. Tesori nascosti tra gli alberi di agrumi rendono l’idea di quanto speciale fosse questo posto, da una finestrina piccola vedevi il mare immenso aprirsi all’orizzonte. Anche Solanto si può definire “piccolo borgo” dove vivevano nobili e popolani, raìs e tonnaruoti. Il fascino di questo luogo non è andato perduto con il tempo anzi più passa il tempo e più assume quell’aura di sogno incantato. Specialmente all’alba quel posto è magico. Solanto ha un castello situato sugli scogli a picco sul mare. All’interno del borgo sorgono piccoli bagghi dove vivevano i tonnaroti ed è lì che anticamente si vedevano panni stesi al sole e reti a terra ad asciugare. Si sentiva quell’odorato di pesce e il sangue dei tonni che colava verso il mare. Da non dimenticare il tonfo della salsedine sui viottoli. Sono stata lì a vedere il sole sorgere e chiudendo gli occhi ho immaginato la vita di un tempo e quasi quasi sentivo le urla dei tonnaroti e quegli odori che esalavano al sole d’agosto. E allura sta storia va vuògghiu cuntari! Al di la della riva c’è un castello dove un tempo principi e principesse ballavano fino a notte fonda. Ogni sera ammiravano il luccichio delle stelle e la luna riflessa sul mare. Si narra che la regina Bianca di Navarra si rifugiò in questo castello perché voleva sfuggire alle insidie del vecchio ribelle Bernardo Chabrera, che voleva a tutti i costi sposarla, ma idda u nu vulieva, e allora fuggì. Chiudere gli occhi per vedere qualcosa di straordinario e con un po’ di fantasia volare via. In lontananza appena, si scorge l’altro piccolo borgo, Porticello. La vera sicilianità la ritroviamo qui in mezzo alla gente con usi e abitudini proprie della zona. Ogni personaggio che si incontra per le vie del borgo ha una sua storia. Tutto è pittoresco: le grida dei pescatori al mercato, gli schiamazzi dei bambini che giocano per strada, tutto questo è vita semplice. Anche lo storico greco Tucidide descrisse questa zona evidenziandone la vocazione marinara, la salubrità dell’aria e la fertilità dei terreni. Qui dove il tempo pare si sia fermato e le stagioni stentano a trascorrere, qui dove gli odori degli aranceti e le zagare fiorite fanno da cornice a questa grande opera, qui dove i problemi non mancano mai, e non ce li facciamo mancare. Si sapissimu quantu vali sta tierra, si cci rassimu un valuri, allora sì che sarebbe un mondo diverso. Ma intanto il villaggio si sveglia, si sentono i motori dei pescherecci e le urla dei pescatori. Il mare luccica con il suo verde splendore e le grida dei gabbiani ci fanno compagnia all’alba. Vedete quante belle storie che ci appartengono? E cu vulieva riri ca na Rigina stava cca, na Rigina che alle prime luci dell’alba poteva ammirare il panorama più bello del mondo. Penso proprio che il fascino di queste zone sia ancora tutto da scoprire, e con tutti i problemi annessi: acqua, munnizza, mali riscuissi resta sempre il nostro piccolo mondo. E già siamo a fine settembre, comu passa u tièmpu!
Anna Citta è una docente di Lingua e Letteratura Inglese. Vive a Porticello, un piccolo borgo marinaro. Ha due grandi passioni: il mare e il dialetto siciliano. Da circa 10 anni Si interessa di tradizioni popolari e di detti tipici del nostro dialetto, usi e costumi, proverbi e altro. Il suo è uno studio senza fine, una grande passione che coltiva nel tempo libero. Pensa che studiare una lingua sia il modo giusto per entrare nella vita della gente, per capire i sentimenti di un popolo e il loro modo d’essere, per sentirne gli odori, i sapori e conoscere il dolore della gente. Per questo ama la Sicilia e la sua sicilianità.