Beato oggi Rosario Livatino, giudice, ucciso dalla mafia, a 38 anni, il 21 settembre 1990 dalla mafia, con una cerimonia dalla Cattedrale di Agrigento.
L’arcivescovo Corrado Lorefice non ha partecipato all’evento perché ancora positivo al covid, ma ha inviato un intervento.
“Non possiamo che salutare con grande gioia –ha detto Lorefice- questo dono che la Chiesa oggi riconosce e che adesso ci riconsegna. Figure come quella del giudice Rosario Livatino possono arricchire l’oggi delle nostre comunità e delle Chiese locali, il loro mandato testimoniale: un annuncio gioioso e audace del Vangelo che genera una trasformazione sociale in termini di riscatto e di liberazione.”
Nei mesi scorsi la Congregazione delle Cause dei Santi ha promulgato il decreto che riconosce il martirio “in odium fidei” del magistrato ucciso a 38 anni di età dalla mafia agrigentina, il 21 settembre 1990, lungo la strada che da Canicattì conduce ad Agrigento.
“Questo riconoscimento da parte della Chiesa -ha proseguito l’Arcivescovo- mette in luce chiaramente che la fede cristiana va incarnata nella vita ordinaria. È quanto mai attuale la celebre affermazione del giudice Livatino: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”. Come quella del Cristo la vita dei cristiani non può che essere un’esistenza messianica. E la professione, in particolare, è lo spazio naturale della testimonianza cristiana, l’altare dove si esprimere il culto della vita. Una vita interpretata come servizio, sulle orme di Cristo Messia-Servo. Per ciò che ha rappresentato e continua a rappresentare Rosario Livatino, la sua testimonianza è particolarmente significativa per la nostra terra che ha bisogno di ripensarsi a partire dall’alto valore della giustizia e della solidarietà nel bene. La nostra isola che conosce il gemito dell’oppressione del male nelle sue variegate, subdole e devastanti forme, necessita ancora di donne e di uomini ispirati dal Vangelo che permettano ad altri di diventare soggetti liberi. È ancor più significativo, a tal proposito, che la beatificazione del giudice Livatino giunga in un momento storico in cui innanzitutto la Chiesa che opera in questa terra si trova a stare accanto a cittadini, famiglie, giovani che stanno attraversando le drammatiche ripercussioni economiche e sociali della pandemia, una condizione che si manifesta sempre più chiaramente come fertilissimo terreno per nuove e sempre più capillari forme di penetrazione mafiosa per profitti e speculazioni. Nel comune sforzo che oggi come trent’anni fa viene chiesto a tutti noi, questa beatificazione ci chiama ad un “martirio dell’ordinario”, il martirio di quanti, così come ci ricorda il Vangelo, sono nella mitezza costruttori feriali di giustizia e di pace.”