Spesso alcuni amici e conoscenti, incontrandomi, mi chiedono notizie di questo o di quel personaggio o del perché si sappia poco di alcune costruzioni minori che esistono nel nostro territorio. Certe domande mi sorprendono e nello stesso tempo mi sconfortano, perché ritengo che sia grave non conoscere personalità cittadine come Giuseppe Cirincione, Diego D’Amico o Giuseppe Scordato, tanto per fare qualche nome. Mi viene il dubbio che nelle scuole si faccia poco per far conoscere la nostra storia locale.
Recentemente, mi sono state chieste notizie sulla Palazzina Favazzi e del perché i nostri storici ne abbiano solo accennato. Ho dato le notizie di cui sono in possesso, ma a questo punto ho pensato di farle conoscere anche ai nostri lettori.
Prende il nome da una famiglia che possedeva delle terre – Girato Favazzi – in una zona compresa tra il Corso Butera e la via Corsa Vecchia. Quando i terreni furono concessi per costruirvi case private, quella zona venne chiamata quartiere Favazzi. Più precisamente, le proprietà dei Favazzi confinavano con quelle del principe di Larderia, Francesco Letterio Moncada, che nel 1752 costruì l’omonimo Palazzo.
Lungo il Corso Butera, a sinistra salendo, poco più sopra la scuola Bagnera, si trova il Palazzetto Favazzi (denominato in passato anche casinello nello stradone), con una cappella annessa dove, fino ad alcuni anni fa, si celebrava messa. Detto palazzetto risultava costruito già prima che fosse tracciato il Corso Butera (1769). Il committente, stando alle fonti dell’architetto Rosario Scaduto (1), è stato don Gesualdo Favazzi e costruito tra il 1750 e il 1768 dal mastro muratore bagherese Gioacchino Paladinoi. In seguito (1830 circa), possessore di quel palazzetto e dei terreni diventa don Giuseppe, mentre nel 1875 risulta proprietario del Palazzetto don Domenico Favazzi, sposato con donna Rosalia Carreca, al quale fu imposto da parte dell’Amministrazione comunale di abbattere un muro che non consentiva e non avrebbe consentito la comunicazione con altre strade che stavano prendendo corpo nella zona, tra le quali la più importante era quella che scendeva dalla piazza Sepolcro, oggi via Lo Re.
Altre notizie sulla famiglia Favazzi riguardano Antonio che nel 1835 è ricevitore del registro del nostro Comune, mentre Pietro è incluso nell’elenco dei possidenti di Bagheria, tra il 1826 e il 1829. Un’altra rappresentante della famiglia Favazzi, Antonina, andò in isposa a don Tommaso Pittalà, figlio di don Modesto, gestore di un’aromateria (da paragonare alla farmacia di oggi), dove si vendevano in prevalenza prodotti preparati dall’aromataro Tommaso Pittalà che svolgeva la professione di notaio; questi fu anche il primo sindaco di Bagheria dal 1° gennaio 1828.
A questa famiglia, già a decorrere dal 1850 circa, era stata intestata una via denominata “strada del cortile Favazzi”.
Al nome dei Favazzi è legata anche la nascita della piazzetta Cavour il cui quartiere, anticamente, era identificato “nno Batiuotu”, perché un signore di Villabate in quella zona possedeva un pastificio e, quindi, prima che le strade fossero intestate a personaggi storici come lo stesso Cavour, Giuseppe Garibaldi e Francesco Crispi, quel commerciante rappresentava sia una via, sia un intero quartiere, denominato anche “Jusu” (rispetto al centro del paese) ed anche quartiere Favazzi.
C’è da ricordare, infatti, che questa piazzetta esiste perché il Consiglio comunale, con deliberazione del 23 febbraio 1908, nel concedere alla famiglia Favazzi l’autorizzazione a cedere i suoi terreni per costruirvi delle case, impose e ottenne che una parte del terreno fosse lasciata libera, onde consentire “la creazione di una banchina centrale di una piazzetta contornata da tutti i quattro lati da strade”. In questa piazzetta, infatti, oggi, confluiscono o si dipartono le seguenti vie: Gigante, Sacerdote Castronovo, prolungamento di via Gigante e la stessa via Favazzi.
Intorno agli anni Venti del secolo scorso, la famiglia Favazzi – forse perché trasferitasi altrove – vendette quella proprietà alla famiglia del pittore Domenico Quattrociocchi perché in quella zona possedeva terreni e case in prossimità delle proprietà dei Favazzi. In questa casa il pittore svolgeva la sua attività di artista. Negli anni successivi per eredità o vendite, quel palazzetto ha avuto diversi proprietari. Recentemente è stato trasformato in un ristorante. La chiesetta adiacente è aggregata alla Parrocchia del Santo Sepolcro.
Tuttora, però, qualche famiglia bagherese viene identificata con il nomignolo di Favazza o Favazzi forse perché imparentata con loro o perché abitante in quel quartiere o perché lavorava le loro terre.
Ricordo che negli anni Quaranta-Cinquanta del secolo scorso, nella zona dell’attuale svincolo autostradale, durante la mietitura, in proprietà di certo Favazzi, funzionava un’aia con una trebbiatrice – chiamata semplicemente trebbia – dove si portavano i covoni di grano per la trebbiatura. Non è detto, però, che il proprietario di quel terreno si chiamasse Favazzi, perché, come riporta mio padre nell’elenco dei soprannomi (‘nciurii), scritto negli anni Quaranta del secolo scorso, risulta un certo Carru Favazza. Costui, come ha scritto anche Francesca Bordonaro in un articolo pubblicato sul Settimanale di Bagheria dell’11 aprile 2004, era un suo bisnonno e aggiunge che, non essendo stata individuata da una signora dal solo cognome, ha dovuto precisare che era nipote di Carru Favazza!
(1)Volume “Le acque del Salvatore nel villaggio di delizie della Bagaria” a cura di Rosario Scaduto e Francesco Michele Stabile – Provincia Regionale di Palermo 2010