“Tutta la vita umana non è se non una commedia, in cui ognuno recita con una maschera diversa, e continua nella parte, finché il gran direttore di scena gli fa lasciare il palcoscenico.”
Cosi scriveva Erasmo da Rotterdam, nel suo celeberrimo libro “Elogio alla follia”, non pensando probabilmente, come questa sua frase potesse essere attuale nel terzo millennio.
Molti di noi quotidianamente hanno da sempre indossato una maschera, a volte per nascondere le cicatrici del dolore, in molti casi per nascondere un disagio sociale che ci rende distinti e distanti da tutto ciò che ci circonda, facendoci sentire alieni in terra.
Pur sentendoci da sempre esseri unici, ognuno di noi è un palazzo dove vivono diversi personaggi, che a turno prendono il controllo e amministrano il condominio.
Adesso l’uso della maschera “passa” da un livello interno e personale ad un esternazione utile e necessaria, per permettere la sopravvivenza del genere umano, ricordiamoci che le maschere non parlano agli uomini si presentano a loro come simbolo e come tale necessitano una giusta interpretazione.
Anticamente, chi portava una maschera perdeva la propria identità per assumerne un altra, spesso quella dell’oggetto che rappresentava.
La maschera veniva usata anticamente sia nei rituali funebri che in vari riti di iniziazione, dove il candidato “moriva” alla vecchia vita per rinascere ad una nuova.
In questo momento storico, tutti abbiamo la necessità, per andare avanti, di comprendere questo passaggio, la nostra vita non potrà e non sarà più come prima, il covid 19 ci ha posti davanti a questa iniziazione che può essere di morte e rinascita attraverso l’uso della maschera, coprendo il nostro volto, dando in tal modo un senso di uguaglianza tra tutti gli uomini.
Le nostre gioie, i nostri sorrisi, anche quelli falsi e necessari, le nostre più intime emozioni, con il volto coperto, saranno rappresentati esclusivamente da ciò che da sempre sono stati considerati lo specchio dell’anima, i nostri occhi.
Così potremmo mentire solo a noi stessi e sarà più difficile farlo con il prossimo che, per comprenderci e capirci dovrà fissare solo i nostri occhi, in questo modo l’uomo, ha l’opportunità di tuffarsi nel mondo delle anime tralasciando l’inganno di ciò che è semplice apparenza.
Un semplice pezzo di stoffa, ci obbligherà a ricordare questo faticoso ma necessario passaggio. Del resto la storia è pieni di “pezzi di stoffa” che ci conducono a profonde riflessioni, dal mandylion o immagine di Edessa che raffigura il volto di Cristo, adorato dalle chiese orientali, alla stessa sindone considerata il sudario che indossava il nazareno dentro la tomba.
Pezzi di stoffa che ci indicano un percosso chiaro di rinascita in un mondo dove tutti sorridono ma nessuno è felice, dove tutto è ok, ma nessuno sta bene, costretti spesso, ad indossare la maschera della felicità non per proteggere noi stessi, ma per garantire la serenità di chi ci vuole bene.
Ed è con questo spirito che dobbiamo, non si sa per quanto, indossare una maschera che ci renderà spesso irriconoscibili al mondo, come sconosciuti tra gli sconosciuti, che, con la sua pressione sulla nostra bocca e sul nostro naso, ci insegnerà nuovamente l’importanza di un respiro, ma sopratutto, giunti presso la nostra casa, nella nostra intimità, dopo averla indossata, tra fatica e sudore per un intera giornata, ci farà capire come sarebbe bello un mondo senza maschere.